24 luglio 2006

Buone Vacanze!


Parto. Due settimane circa in viaggio, per la Francia. Spero di poter documentare tutto, al mio ritorno, con immagini e soprattutto foto. Vista la mia lunga assenza e la mia impossibilità ad aggiornare il blog ho scelto come ultimo articolo un "pezzo" abbastanza lungo, ma ricco di spunti, condivisibili o meno. Colgo l'occasione per salutare e augurare buone vacanze a tutti gli assidui frequentatori del blog,

Nicolò

La guerra è un racket

(fonte: lexrex.com, articolo di Smedley Butler - Maggior Generale - Corpo della Marina degli Stati Uniti, 1935)

La GUERRA è un racket. Lo è sempre stato.

Forse il più vecchio, facilmente il più profittevole, sicuramente il più crudele. L'unico ad essere internazionale nel suo scopo. L'unico in cui i profitti vengono stimati in dollari e le perdite in vite umane. Un racket è meglio descritto, ritengo, come qualcosa che non è ciò che sembra alla maggioranza delle persone. Solo un piccolo gruppo "interno" sa di cosa si tratta. Viene condotto per il beneficio di pochi, a spese di molti. Da una guerra, poche persone traggono delle grandi fortune. Nella Prima Guerra Mondiale, fu solo una piccola manciata di individui a trarre dei profitti da questo conflitto. Durante questo periodo nacquero negli Stati Uniti circa 21.000 nuovi milionari e miliardari. Molti di questi presentarono i loro guadagni colossali nella dichiarazione dei redditi. Quanti siano gli altri milionari arricchiti dalla guerra che falsificarono la loro dichiarazione, nessuno lo sa. Quanti tra questi milionari avevano portato un fucile sulle spalle? Quanti tra loro hanno mai scavato una trincea? Quanti tra loro sapevano che cosa significava sentire i morsi della fame in un rifugio sotterraneo infestato dai topi? Quanti tra loro hanno passato delle notti intere senza dormire, nel terrore, abbassando la testa ogni volta per ripararsi dagli esplosivi, dalle raffiche dei mitra e delle mitragliatrici? Quanti tra loro sono riusciti a schivare la lama della baionetta di un nemico? Quanti tra loro sono rimasti feriti o uccisi in battaglia? In una guerra, le nazioni si impossessano di un nuovo territorio, se tornano vittoriose. Tutto qui: se lo prendono. Questo nuovo territorio conquistato sarà allora immediatamente sfruttato da quei pochi - la stessa piccola manciata di individui che spremono tutti i soldi che possono da una guerra. E tutto il grande pubblico si porta sulle spalle il conto. E il conto qual'è?Questo conto si traduce in un orribile rendiconto. Tante nuove lapidi. Corpi dilaniati. Menti distrutte. Cuori e case distrutti. Instabilità economica. Depressione e tutte le miserie che ne conseguono. Imposte massacranti per generazioni e generazioni. Per un bel po' di anni, come soldato, avevo il sospetto che la guerra fosse un racket; ma fu solo quando ritornai alla vita civile che me ne resi pienamente conto.

Ora, vedendo avvicinarsi le nuvole di una nuova guerra internazionale, è bene affrontare la questione. Hanno di nuovo scelto di formare degli schieramenti. La Francia e la Russia si sono accordate per stare fianco a fianco. L'Italia e l'Austria si sono affrettate nel concludere un accordo analogo. La Polonia e la Germania si sono fatte gli occhi dolci, dimenticandosi per l'occasione [un'occasione unica] della disputa sul Corridoio Polacco. L'assassinio del re Alessandro di Jugoslavia ha complicato i problemi. La Jugoslavia e l'Ungheria, da tempo acerrime nemiche, stavano per saltarsi alla gola. E l'Italia pronta per intromettersi. Ma la Francia stava aspettando. E così la Cecoslovacchia. Tutti pronti per cominciare una guerra. Non i popoli - non quelli che combattono, pagano e muoiono - ma solo quelli che fomentano le guerre e poi se ne stanno comodi in casa facendo profitti. Oggi ci sono 40 milioni di uomini sotto le armi, e i nostri statisti e diplomatici hanno pure il coraggio di dire che non si sta attuando nessuna guerra.Siamo impazziti? E questi 40 milioni di uomi allora che cosa fanno? Si stanno addestrando per fare i ballerini? Certo non in Italia. Il premier Mussolini lo sa benissimo per che cosa si stanno addestrando. Lui, almeno, è abbastanza franco da dirlo. Solo l'altro giorno, il Duce, ne "Conciliazione Internazionale", una pubblicazione del Carnegie Endowment for International Peace [Donazione Carnegie per la Pace Internazionale, ndt], ha detto: "E soprattutto il Fascismo, che considera e osserva il futuro e lo sviluppo dell'umanità non legato alle considerazioni politiche del momento, non crede né alla possibilità né tanto meno all'utilità di una pace perpetua... Solo la guerra può portare al massimo della sua tensione l'umana energia, e lasciare il segno della nobiltà sui popoli che hanno il coraggio di abbracciarla". Herr Hitler, con il suo riarmo della Germania e le sue continue richieste per sempre più armi, è un'altra grande minaccia per la pace. E la Francia proprio recentemente ha aumentato la durata del servizio militare per la sua gioventù da un anno a diciotto mesi.Sì, dappertutto, le nazioni stanno preparando le loro armate. Le ostilità in Europa sono ormai a briglia sciolta. Ad oriente gli armamenti vengono organizzati più abilmente. Nel 1904, quando combattevano Russia e Giappone, siamo riusciti ad espellere la Russia appoggiando i giapponesi. Poi i nostri banchieri internazionali così generosi finanziarono il Giappone. Ora invece la propensione è quella di avere il dente avvelenato nei loro confronti. Che cosa significa per noi la politica delle "porte aperte" alla Cina? Il nostro commercio con la Cina è di circa 90 milioni di dollari all'anno. E le isole delle Filippine? Abbiamo speso circa 600 milioni di dollari nelle Filippine in 35 anni, e ora abbiamo da quelle parti (i nostri banchieri, industriali e speculatori) degli investimenti privati per poco meno di 200 milioni di dollari. Poi, per proteggere questo commerciodi $90.000.000 con la Cina o quello degli investimenti privati nelle Filippine di quasi $200.000.000, conciteranno nuovamente le masse portandole a odiare il Giappone e a muovergli guerra - una guerra che potrebbe benissimo costarci decine di milardi di dollari, centinaia di migliaia di vite americane, e altre centinaia di migliaia di uomini fisicamente e mentalmente menomati, irreparabilmente a pezzi.Naturalmente, per questa perdita ci sarebbe un profitto che compensa - qualcuno accumulerebbe delle grandi fortune. Milioni e miliardi di dollari a formare delle montagne. Per pochi. Per i trafficanti d'armi. Per i banchieri. Per i costruttori di navi. Per i produttori. Per l'industria della carne in scatola. Per gli speculatori. Loro ci mangerebbero sopra per bene. È così, si stanno preparando per un'altra guerra. Perché non dovrebbero? Otterrebbero degli alti dividendi.Ma che profitto rende agli uomini che vengono uccisi? Che profitto rende alle loro madri e alle loro sorelle, alle loro mogli e a chi li ama? Che profitto rende ai loro bambini? Chi mai ne trarrà dei profitti se non che quello sparuto gruppo di persone per cui la guerra significa solo un enorme profitto? Proprio così. E che profitto ne otterrà la nazione? Prendiamo il nostro caso. Fino al 1898 non possedevamo nessun territorio al di fuori della terraferma nordamericana. A quel tempo il nostro debito nazionale era poco più di un miliardo di dollari. Poi siamo diventati "internazionalmente aperti". Abbiamo dimenticato, o messo da parte, il consiglio del Padre del nostro paese. George Washington ci aveva messi in guardia sulle "alleanze imbriglianti". Siamo andati in guerra. Abbiamo acquisito dei territori esterni. Alla fine della Guerra Mondiale, come risultato diretto dei nostri giochetti con gli affari internazionali, il nostro debito nazionale aveva raggiunto i 25 miliardi di dollari. La bilancia commerciale positiva durante il periodo di 25 anni ammontava a 24 miliardi di dollari. Quindi, su una semplice base contabile, siamo pure tornati un po' indietro, anno dopo anno, e il commercio con l'estero poteva tornarci molto utile pure senza le guerre. Sarebbe stato molto più economico (e più sicuro), per lo statunitense medio che paga le bollette, starsene fuori da queste alleanze. Per una minoranza, questo racket, nella fattispecie il contrabbando e il racket della malavita, portano grossi profitti, ma il costo delle operazioni viene sempre trasferito al popolo - che di profitto non ne trae nemmeno un po'.


[Mussolini e Hitler]


CAPITOLO DUE - CHI TRAE PROFITTI?

La Guerra Mondiale, oltre a vedere il nostro coinvolgimento, è costata agli Stati Uniti circa 52 miliardi di dollari. Fate il calcolo. Significa $400 per ogni uomo, donna e bambino degli Stati Uniti. E non abbiamo ancora pagato tutto il debito. Lo stiamo ancora pagando, i nostri figli lo pagheranno, e i figli dei nostri figli probabilmente si ritroveranno ancora a pagare il costo di questa guerra. I profitti tipici di un'impresa commerciale negli Stati Uniti sono del sei, otto, dieci e qualche volta dodici per cento. Ma i profitti in tempo di guerra - ah sì! sono tutt'altri numeri - parliamo del venti, sessanta, cento, trecento, e anche ottocento per cento - il limite è il cielo. Un traffico immenso. Zio Sam ha il denaro. Andiamo a prendercelo. Naturalmente loro non metteranno le cose in modo così semplicistico, in tempo di guerra. Parleranno di patriottismo, di amore per il proprio paese, dicendo che "tutti dobbiamo tirarci su le maniche", intanto i profitti salgono a quote deliranti - e vengono messi al sicuro nelle loro tasche. Prendiamo giusto qualche esempio: I nostri amici, i Du Ponts, quelli della polvere da sparo - uno di loro non ha forse testimoniato davanti al comitato senatoriale giusto di recente, dicendo che era merito della loro polvere da sparo se si era vinta la guerra? Che si aveva salvato il mondo esportando democrazia? O qualcosa di simile? Cosa hanno fatto loro durante la guerra? Era una corporation patriottica. Ebbene, il profitto medio dei Du Ponts nel periodo dal 1910 al 1914 fu di 6 milioni di dollari per anno. Non era molto, ma i Du Ponts riuscirono a cavarsela. Ora diamo un'occhiata al profitto medio annuale che va dal 1914 al 1918. Scopriamo che era di 58 milioni di dollari all'anno! Quasi 10 volte quello che avevano in tempo di pace, e non è che in tempo di pace i loro profitti fossero così male. In pratica un aumento dei profitti ammontante a più del 950 per cento. Osserviamo ora una delle nostre compagnie siderurgiche, che mise patriotticamente da parte la produzione di ferrovie e di ponti a travata per passare ad occuparsi di materiale bellico. Bene, il loro profitto medio annuo nel periodo 1910-1914 era di 6 milioni di dollari. Poi arrivò la guerra e, da buoni e fedeli cittadini, la Bethlehem Steel cominciò a produrre armi. Secondo voi, i loro profitti sono saliti, o hanno fatto entrare Zio Sam nell'affare? Ebbene, la loro media nel periodo 1914-1918 era di 49 milioni di dollari l'anno!Vediamo come sono andate le cose per la United States Steel Corporation. I guadagni abituali durante i 5 anni prima della guerra erano di 105 milioni di dollari l'anno. Poi venne la guerra e i profitti salirono. Infatti la media annua per il periodo 1914-1918 fu di 204 milioni di dollari. Niente male. Finora abbiamo visto i guadagni per chi produceva acciaio e polvere da sparo. Ora spostiamo la nostra attenzione su qualcos'altro. Sul rame, per esempio. Anche lui rende bene, in tempo di guerra. La Anaconda Copper Mining Co., per esempio. I guadagni medi annuali anteguerra nel periodo 1910-1914 erano di 10 milioni di dollari. Nel periodo 1914-1918, invece, i profitti salirono a 34 milioni di dollari l'anno.O la Utah Copper. Media di 5 milioni di dollari l'anno per il periodo 1910-1914. Media annuale raggiunta nel periodo della guerra: 21 milioni di dollari. Raggruppiamo assieme queste cinque con altre tre piccole compagnie. La media annuale totale dei profitti per il periodo anteguerra 1910-1914 era di $137.480.000 . Dopo la guerra, la media crebbe verticosamente fino a raggiungere $408.300.000 .Un piccolo aumento approssimativamente del 200% ...La guerra fa guadagnare? A loro sicuramente sì. Ma non sono gli unici. Ve ne sono altri. Vediamo cosa succede con il cuoio.Per il periodo di tre anni prima dell'inizio della guerra, il totale dei profitti della Central Leather Company era di 3.5 milioni di dollari, ovvero approssimativamente di $1.167.000 all'anno. Nel 1916 la Central Leather ottenne profitti per un totale di 15 milioni di dollari, un piccolo aumento del 1.100 per cento... Questo è tutto. La General Chemical Company aveva totalizzato poco più di 800 mila dollari all'anno, nei tre anni prima della guerra. Durante la guerra i profitti arrivarono a 12 milioni di dollari, un salto equivalente al 1.400 per cento.La International Nickel Company - e non si può fare una guerra senza nichel - riportò un aumento dei profitti partendo da una media iniziale di 4 milioni di dollari l'anno e arrivando a una media di 73 milioni di dollari l'anno. Niente male, dite? Corrisponde a un aumento del 1.700 per cento. La media della American Sugar Refining Company era di 2 milioni di dollari l'anno, prima della guerra. Nel 1916 raggiunse il record di 6 milioni di dollari. Ecco cosa rivela il Documento del Senato nr. 259. Il Sessantacinquesimo Congresso, che riporta i guadagni delle aziende e delle rendite governative. E che calcola i profitti di 122 industrie della carne in scatola, 153 produttori di cotone, 299 fabbriche di indumenti, 49 acciaierie e 340 produttori di carbone durante la guerra. È rarissimo trovare dei profitti che siano al di sotto del 25 per cento. Per esempio le imprese del carbone totalizzavano da un 100 per cento fino a un 7.856 per cento del loro capitale azionario nel periodo della guerra. Le industrie della carne di Chicago hanno raddoppiato e triplicato i loro guadagni.E non dimentichiamoci dei banchieri che hanno finanziato la grande guerra. Se c'è qualcuno che ha tratto il massimo dei profitti, questi sono i banchieri. Essendo delle partnership più che delle imprese private, non sono tenute a fare il rendiconto agli azionisti. E i loro profitti sono rimasti tanto nascosti quanto più erano immensi. Come i banchieri si siano fatti milioni e miliardi di dollari non lo so, perché questi piccoli segreti non sono mai stati resi pubblici - nemmeno di fronte all'organismo investigativo del Senato. Ma ecco qui come alcuni industriali e speculatori patrioti si sono preparati la strada per ricavare profitti dalla guerra.Per esempio i produttori di scarpe. A loro la guerra piace. Gli porta un sacco di lavoro e dei profitti eccezionali. Traggono i loro guadagni vendendo le scarpe all'estero ai nostri alleati. Forse, come fanno i produttori di munizioni e quelli di armi, pure loro vendono al nemico. Perché un dollaro è un dollaro, che arrivi dalla Germania o dalla Francia. Ma se la cavano bene pure con Zio Sam. Per esempio, hanno venduto a Zio Sam 35 milioni di stivali pesanti. I soldati erano 4 milioni. Significa più di otto paia per soldato. Il mio reggimento, durante la guerra, disponeva di un solo paio di scarpe. Alcune di queste probabilmente ci sono ancora. Erano buone scarpe. Ma quando la guerra terminò, Zio Sam si è ritrovato con un'eccedenza di 25 milioni di scarpe. Comprate e pagate. E i profitti, registrati e intascati. C'era ancora molto cuoio lasciato invenduto. Così i produttori decisero di vendere a Zio Sam centinaia di migliaia di selle prodotte dalla McClellan per la cavalleria. Ma non esiste alcuna cavalleria americana fuori dagli Stati Uniti! Qualcuno doveva disfarsi di tutto questo cuoio, tuttavia. Qualcuno doveva guadagnarci sopra - e così ci siamo ritrovati con un sacco di selle della McClellan. E probabilmente ne abbiamo ancora ora.Inoltre c'era qualcuno che disponeva di un grande assortimento di zanzariere. Zio Sam ne ha comprate 20 milioni ad uso dei soldati oltremare. Suppongo che i nostri ragazzi se le mettessero addosso quando dormivano nelle trincee piene di fango - una mano che si gratta i pidocchi in testa e l'altra che cerca di afferrare i topi sgambettanti. Ebbene, nessuna di queste zanzariere è mai arrivata in Francia!Comunque, questi prudenti produttori volevano essere sicuri che nessun soldato ne fosse sprovvisto, perciò pensarono bene di venderne altri 40.000.000 al nostro Zio Sam.Pure i produttori di aerei e di motori ritennero di avere diritto anche loro a trarre dei profitti da questa guerra. Perché no? Ognuno aveva i suoi. E così Zio Sam spese un altro milardo di dollari - contateli se riuscite a vivere abbastanza a lungo per farlo - per la costruzione di motori d'aviazione che... non lasciarono mai la terra! Non un solo aereo, non un solo motore di questo ordine da un miliardo di dollari venne usato per le battaglie che ebbero luogo in Francia. Ma i loro produttori ottennero i loro profitti, del 30, 100 e forse anche del 300 per cento.Le canottiere per i soldati costavano alla produzione 14 centesimi: per acquistarle Zio Sam spese dai 30 ai 40 centesimi ciascuna - un profitto non male per i produttori di canottiere. E anche i produttori di calze, di uniformi, di cappelli e di elmetti in acciao ebbero il loro profitto.Quando terminò la guerra, i magazzini qui erano stipati con più di 4 milioni di set di attrezzature - bisacce e tutto ciò che le riempie. Ora sono da buttare perché le regolamentazioni sono cambiate. Ma i produttori intanto si sono fatti i loro guadagni - e rifaranno tutto di nuovo la prossima volta. C'erano molte idee brillanti per fare soldi durante la guerra. Un patriota molto versatile vendette a Zio Sam dodici dozzine di chiavi a settore da 48 pollici. Oh, erano delle chiavi molto carine. L'unico problema era che esisteva un solo tipo di dado mai costruito che fosse largo abbastanza per questo tipo di chiavi. Ovvero quello che serve per tenere serrate le turbine alle cascate del Niagara. Ebbene, dopo essere state acquistate da Zio Sam e il produttore essersi intascato i profitti, queste chiavi furono messe dentro vagoni merci e fatte girare per tutti gli Stati Uniti nella speranza di trovare qualche posto ove potessero essere utilizzate. Quando venne firmato l'armistizio fu davvero un brutto colpo per il produttore di chiavi. Stava giusto per fabbricare un po' di dadi che andassero bene per queste chiavi. Poi escogitò di vendere anche questi, a Zio Sam. Un altro ha avuto la brillante idea di pensare che i colonnelli non dovessero guidare le automobili, né andare a cavallo. Probabilmente ha visto una foto di Andy Jackson andare su un buckboard (NdT: tipico carro americano a sponde basse). Ebbene, ne sono stati prodotti e venduti 6.000 allo Zio Sam ad uso dei colonnelli! Non ne fu usato mai nemmeno uno. Ma il fabbricante intanto si fece su i soldi.Pure i costruttori di navi pensarono di avere diritto ad una fetta del bottino. Costruirono molte navi e ne ricavarono molto denaro. Per l'esattezza più di 3 miliardi di dollari. Alcune delle navi andavano pure bene. Ma ne fu prodotta una quantità pari ad un valore di 635 milioni di dollari il cui materiale principale era il legno, e non potevano nemmeno navigare. Le giunture si aprivano - e così le navi affondavano. Ma noi le avevamo pagate. E qualcuno si era intascato i profitti.È stato stimato da statisti ed economisti e ricercatori che la guerra costò a vostro Zio Sam 52 miliardi di dollari. Di questa somma, 39 miliardi vennero di fatto spesi per la guerra. Questa spesa produsse 16 milioni di profitti. Ecco come 21.000 miliardari e milionari sono diventati tali. Questi profitti non sono esattamente briciole. È una cifra spaventosa. Ed è finita nelle mani di pochi.Le indagini condotte dal Nye Committe sull'industria delle munizioni e i suoi profitti in tempo di guerra, nonostante le loro rivelazioni sensazionali, non hanno scoperto altro che la punta dell'iceberg.Ma ha sortito comunque degli effetti. Il Dipartimento di Stato ha studiato "per un certo tempo" alcuni sistemi per tenersi fuori dalla guerra. Il Ministero della Guerra subito decide di avere tra le mani un grande piano che deve essere portato alla luce. L'Amministrazione nomina un comitato - con i Ministeri della Marina e della Guerra abilmente rappresentati sotto la presidenza di uno speculatore di Wall Street - perché fossero limitati i profitti in tempo di guerra. A quale scopo non si è mai saputo. Hmmm. Magari in quel modo, i profitti del 300, e del 600, e del 1600 per cento di quelli che trasformavano il sangue in oro durante la Guerra Mondiale sarebbero stati limititi a poche persone. Apparentemente, comunque, il piano non faceva alcun riferimento al contenimento delle perdite - ovvero alla perdita della vita di quelli che la guerra la combattono. Per quanto mi è stato possibile capire, non c'è niente che faccia parte di questo piano atto a limitare la perdita per un soldato ad un solo occhio, o ad un solo braccio, o ad una sola ferita anziché tre. O a limitare la perdita della vita. Non c'è nulla in questo piano, a quanto sembra, che dica che non più del 12 per cento di un reggimento dovrà rimanere ferito, o che non più del 7 per cento di una divisione dovrà essere uccisa. Ma chiaramente, il comitato non può certo prendersi la briga di occuparsi di queste faccende di poco peso.

[Lo Zio Sam vuole te!]

CAPITOLO TRE - CHI PAGA IL CONTO?

Chi fornisce i profitti - quei profitti così carini del 20, 100, 300, 1.500 e del 1.800 per cento? Noi tutti li paghiamo - in tasse. Abbiamo pagato i profitti ai banchieri quando abbiamo comprato i Liberty Bond a 100 dollari e glieli abbiamo rivenduti poi a 84 o a 86 dollari. E così ci hanno guadagnato. Semplice manipolazione. I banchieri controllano i mercati. Per loro è stato facile abbassare i prezzi di questi titoli. E poi noi tutti - il popolo - ci siamo impauriti e li abbiamo rivenduti a 84 o 86 dollari. E loro li hanno ricomprati. Poi sempre loro hanno provocato un boom e i titoli di stato hanno riacquistato il loro valore nominale - e lo hanno anche superato. E i banchieri raccolgono i loro profitti. Ma è il soldato quello a pagare il conto più alto. Se non ci credete, fate una visita ai cimiteri statunitensi o ai campi di battaglia all'estero. O visitate uno qualunque dei tanti ospedali per veterani negli Stati Uniti. Durante un viaggio in giro per tutto il paese, durante un viaggio che sto facendo mentre scrivo, ho visitato diciotto ospedali di stato per veterani. Dentro ci sono circa 50.000 uomini distrutti - uomini che diciotto anni fa erano considerati la crema del loro paese. Un chirurgo molto bravo, che lavora in uno di questi ospedali, quello del Milwaukee, che conta circa 3.800 cadaveri ambulanti, mi disse che la mortalità tra i veterani è tre volte più alta rispetto a quelli che non sono mai partiti per la guerra. I nostri ragazzi venivano presi dai loro campi coltivati, dagli uffici, dalle fabbriche e dalle scuole e messi nelle schiere. Venivano rimodellati; rimessi a nuovo; capovolte le loro prospettive; considerare l'omicidio come l'ordine del giorno. Messi uno fianco all'altro e, attraverso la psicologia di massa, completamente cambiati. Li abbiamo usati per un paio di anni e addestrati per non farsi problemi ad uccidere o essere uccisi. Poi, improvvisamente, ce ne siamo liberati dicendogli di capovolgere nuovamente il loro modo di essere! Ma questa volta il capovolgimento dovevano farlo per conto proprio, senza psicologia di massa, senza l'aiuto e il consiglio di funzionari preposti e senza propaganda nazionale. Non ci servivano più. Così li abbiamo dispersi senza nessuna "terapia dei tre minuti", senza discorsi sui "Liberty Loan" (buoni governativi). Molti, troppi di questi bravi ragazzi sono rimasti prima o poi distrutti, mentalmente, perché non erano in grado di fare questo "capovolgimento" per conto loro. Nell'ospedale statale di Marion, nell'Indiana, 1.800 di questi ragazzi sono dei vegetali! Cinquecento di loro sono dentro delle caserme con sbarre d'acciaio e dei fili tutt'attorno, fuori dall'edificio e sui porticati. Questi hanno già la mente distrutta. Non sembrano nemmeno più degli esseri umani. Per non parlare dei loro volti. Fisicamente, sono in buona forma; ma le loro teste sono andate. Ci sono migliaia e migliaia di questi casi, e ne arrivano sempre di più. La tremenda eccitazione data dalla guerra, e poi un taglio così netto - questi giovani ragazzi non potevano farcela. Questo fa parte del conto da pagare. Quanto ai morti - loro hanno già pagato la loro parte dei profitti di guerra. Quanto a quelli mentalmente e fisicamente feriti, loro pagano ora la loro parte dei profitti di guerra. Ma anche gli altri hanno pagato - hanno pagato con il cuore spezzato quando sono stati strappati dal loro focolare domestico e dalle loro famiglie per indossare l'uniforme di Zio Sam - su cui si è guadagnato. Un'altra parte l'hanno pagata nei campi di addestramento dove sono stati irreggimentati ed addestrati mentre gli altri continuavano a fare il loro lavoro nei loro posti delle loro comunità. Hanno pagato stando nelle trincee e sparando e facendosi sparare; dove avevano fame per giorni interi; dove dormivano nel fango con il freddo e la pioggia - con i lamenti e i gemiti dei loro compagni agonizzanti come orribile ninna nanna. E non dimentichiamolo - il soldato pagava anche parte del conto in dollari e centesimi. Fino a e compresa la guerra ispano-statunitense, avevamo un sistema a premi, e i soldati e i marinai lottavano per il denaro. Durante la Guerra Civile venivano pagati con dei bonus, spesso prima ancora che entrassero in servizio. Il governo, o gli stati, arrivavano a pagare fino a 1.200 dollari per un arruolamento. Nella guerra ispano-statunitense davano dei premi in denaro. Quando catturavamo qualunque imbarcazione, ognuno prendeva la sua parte - o almeno così si pensava. Poi si scoprì che si poteva ridurre il costo delle guerre prendendo tutto il premio in denaro e tenendoselo, ma coscrivendo [chiamando alle armi, ndt] comunque il soldato. Così i soldati non potevano più patteggiare per il loro lavoro. Tutti potevano patteggiare, ma loro no. Napoleone diceva,"Tutti gli uomini amano le decorazioni... le cercano con un grande desiderio". Quindi, sviluppando questo sistema napoleonico - il business delle medaglie - il governo imparò che poteva avere soldati con poco denaro, perché ai ragazzi piaceva essere decorati. Prima della Guerra Civile, non esistevano medaglie. Poi venne inventata la Medaglia d'Onore del Congresso. Era più facile arruolare. Dopo la Guerra Civile, non venne emessa più alcuna medaglia fino all'arrivo della guerra ispano-statunitense.Nella Guerra Mondiale, abbiamo fatto uso della propaganda per convincere i ragazzi ad accettare il servizio militare. Gli si faceva provare vergogna, se non entravano nell'esercito. Talmente aggressiva era questa propaganda di guerra, che pure Dio ne venne coinvolto. Tranne qualche eccezione, i nostri uomini di chiesa si unirono al folle clamore "uccidi, uccidi, uccidi". Uccidere i tedeschi. Dio è dalla nostra parte... è nella Sua volontà che i tedeschi muoiano. E in Germania, i buoni e cari pastori invitavano i tedeschi ad uccidere gli alleati... per appagare lo stesso Dio. Questo faceva parte della propaganda generale, costruita per rendere le persone consapevoli della guerra e di cosa è l'omicidio.Tante belle idee vennero concepite per i nostri ragazzi che venivano mandati a morire. Questa era la "guerra per chiudere tutte le guerre". Questa era la "guerra che avrebbe reso il mondo un posto sicuro e democratico". Nessuno disse loro, però, mentre partivano, che il loro andare in guerra e morire avrebbe portato grandi guadagni ad altri. Nessuno disse a questi soldati degli Stati Uniti che potevano essere uccisi da una pallottola sparata da un loro stesso compratriota nello stesso campo di battaglia. Nessuno disse loro che le navi sulle quali si erano imbarcati potevano essere affondate dal siluro di un sottomarino costruito con brevetti statunitensi. L'unica cosa che veniva detta era che sarebbe stata una "gloriosa avventura". E così, dopo essere stati rimpinzati fino in fondo di patriottismo, si pensò che fosse giusto premiarli con un piccolo aiutino in danaro. L'aiuto corrispondeva a ben 30 dollari al mese. Tutto quello che dovevano fare per questa munifica somma era semplicemente lasciarsi i loro cari alle spalle, lasciare il loro lavoro, starsene in delle belle trincee paludose, mangiare, quando disponibile, "canned willy" (carne bovina argentina già in stato deteriorato quando viene inscatolata, ndt) e uccidere, uccidere e uccidere... ed essere uccisi. Ma... un momento!Metà del loro salario (giusto poco più di quello che guadagna in un giorno un chiodatore in un cantiere navale o un meccanico che lavora tranquillo nella sua patria in una fabbrica di munizioni) veniva lestamente preso per sostenere i dipendenti dello stato, così che non avrebbero costituito un peso per la comunità. Dopo di che li si faceva pagare quello che corrispondeva all'assicurazione contro gli infortuni - qualcosa che di solito paga un impiegato in un paese liberale - e che ammontava a circa 6 dollari al mese. In pratica alla fine gli rimanevano 9 dollari.E poi, il massimo dell'insolenza, venivano infine letteralmente turlupinati pagando le loro stesse munizioni, i vestiti e il cibo, tutto prodotto facendoli comprare i Liberty Bond. Molti soldati non riscuotevano nessun salario, nel giorno di paga.I Liberty Bond glieli abbiamo venduti a 100 dollari, per poi ricomprarglieli - quando ritornavano dalla guerra e non riuscivano a trovare lavoro - a 84 e a 86 dollari. In pratica i soldati avevano acquistato questi titoli per una cifra totale di 2 miliardi di dollari!È così, è il soldato a pagare la parte più salata del conto. Paga pure la sua famiglia. Entrambi pagano con un cuore a pezzi. Soffre lui, soffrono loro. Di notte, mentre lui si trovava nelle trincee, vigile su tutte le pallottole esplosive che potevano scoppiargli in faccia da un momento all'altro, la sua famiglia si girava e rigirava nel letto senza riuscire a dormire - suo padre, sua madre, sua moglie, le sue sorelle e i suoi fratelli, i suoi figli e le sue figlie. Quando poi rientrava in patria senza un occhio o senza una gamba, o con la mente totalmente distrutta, anche loro soffrivano - quanto lui e alle volte anche più di lui. E anche loro contribuivano con i loro dollari a portare profitti ai costruttori d'armi e ai banchieri e agli industriali e agli speculatori. Loro, pure, compravano i Liberty Bond e contribuivano al profitto dei banchieri, dopo l'armistizio, nel magico mondo dei Liberty Bond manipolati.E anche adesso le famiglie dei reduci di guerra, di quelli feriti, distrutti nel profondo, che non sono più stati in grado di rimettersi in quadro nella società, stanno soffrendo.


[Prima Guerra Mondiale - Immagini]

CAPITOLO QUATTRO - COME SCONFIGGERE IL RACKET!

Bene, è un racket, d'accordo. Profitti per pochi - e i tanti pagano. Ma c'è un modo per fermarlo. Non certo con delle conferenze sul disarmo. Non si può eliminare facendo dei bei discorsi a Ginevra. Tanti gruppi ben intenzionati ma di scarso spirito pratico non possono disfarsene con delle semplici risoluzioni. L'unico modo per eliminarlo è di portare i profitti fuori dalla guerra. Per disfarsi del racket, bisogna ingaggiare il capitale e l'industria e la forza lavoro prima che vengano ingaggiati i nostri ragazzi. Un mese prima che il governo riesca ad arruolare i giovani della nostra nazione - deve ingaggiare tutto il capitale, tutta l'industria e tutta la forza lavoro. Che siano i funzionari, e i direttori e i dirigenti d'alto livello delle nostre fabbriche d'armamenti e di munizioni, che siano i nostri costruttori di navi e di aerei e i fabbricanti di tutti quei prodotti che fanno guadagnare soldi a palate durante la guerra, che siano i banchieri e gli speculatori ad essere arruolati e a prendersi 30 dollari al mese, lo stesso salario che i nostri figlioli percepiscono quando stanno in trincea. Lo prendano loro, tutti i lavoratori di questi stabilimenti - tutti i lavoratori, tutti i presidenti, tutti i dirigenti, tutti i direttori, tutti i manager, tutti i banchieri, questo salario. Sì, e tutti i generali e tutti gli ammiragli e tutti gli ufficiali e i politici e tutte le pubbliche autorità di stato - tutto il paese si limiterà a ricevere un salario mensile che non sarà più alto di quelli dei soldati nelle trincee!Facciamo sì che tutti questi re e magnati e maghi degli affari e tutti quei lavoratori nell'industria e tutti i nostri senatori e governatori e sindaci paghino metà del loro salario di 30 dollari alle loro famiglie, e paghino l'assicurazione contro gli infortuni e comprino i Liberty Bond. Perché non dovrebbero? In fin dei conti non corrono alcun rischio di essere uccisi o avere i loro corpi dilaniati o la loro mente frantumata. Non dormono in trincee fangose. Non patiscono la fame. I soldati la patiscono! Date al capitale e all'industria e alla forza lavoro trenta giorni per pensarci, e scoprirete, alla scadenza, che non ci sarà nessuna guerra. Questo è un sistema per sconfiggere il racket - questo e nessun altro. Forse sono un po' troppo ottimista. Il capitale ha ancora la sua da dire. Quindi non permetterà che i profitti vengano portati fuori da una guerra finché tutti - tutti quelli destinati a soffrire e a pagarne il prezzo - non cominceranno a rendersi conto che quelli da loro eletti si dovranno occupare di fare i loro interessi, e non quelli degli affaristi.Un altro passo necessario in questa lotta per l'eliminazione del racket è l'uso di un plebiscito in forma limitata, attraverso il quale sia stabilito se si debba dichiarare una guerra oppure no. Un plebiscito non per tutti, ma messo esclusivamente a disposizione di coloro che sarebbero chiamati a combattere e a morire. Non avrebbe infatti molto senso che vi partecipasse un presidente di 76 anni di una fabbrica di munizioni, o un capo coi piedi piatti di una banca internazionale, o un manager strabico di uno stabilimento di produzione - che non riescono ad avere altro che visioni di straordinari profitti durante le guerre. Loro non verrebbero mai chiamati a portare un'arma - o a dormire in trincea e farsi sparare. Solo chi viene chiamato alle armi a rischiare la sua vita, per il suo paese, dovrebbe avere il privilegio di votare e decidere se una nazione deve andare in guerra.Vi sono ampi precedenti sulle limitazioni al diritto di voto dei cittadini. In molti dei nostri stati esistono delle restrizioni agli aventi diritto. Per esempio, è necessario che siano in grado di leggere e scrivere. In altri, bisogna possedere una proprietà. Non sarebbe quindi difficile far sì che ogni anno gli uomini che raggiungono l'età per essere idonei al servizio militare si registrino presso il loro comune, come avveniva nel periodo della Guerra Civile, e facciano la visita medica. Quelli che passano l'esame, e che quindi possono essere soggetti a chiamata alle armi in caso di guerra, avrebbero accesso al voto in un plebiscito limitato. Loro dovrebbero essere quelli a disporre del potere decisionale - e non un Congresso in cui pochi membri rientrano a fatica nei limiti d'età per l'arruolamento e meno ancora hanno l'idoneità fisica per usare le armi. Solo quelli che sono destinati a sofferenza certa dovrebbero avere il diritto di voto. Un terzo passo per sconfiggere questo racket è di accertarsi che le nostre forze militari siano realmente delle forze di sola difesa. Ad ogni sessione di Congresso salta sempre fuori la questione del Naval Appropriation Act ( protocollo creato per il controllo del budget della marina militare, ndt). Gli ammiragli scalda-sedie di Washington (e ce ne sono tanti) sono dei lobbisti piuttosto svegli. E furbi. Non gridano ai quattro venti "abbiamo bisogno di molte di navi da battaglia per fare guerra a questo paese o a quest'altro paese". Ah no... non fanno così. Prima annunciano che gli Stati Uniti sono minacciati da una flotta navale nemica molto potente. Questi ammiragli saranno sempre pronti a dirvi che le potenti flotte di questi supposti nemici colpiranno molto presto e annienteranno 125.000.000 di persone. Proprio così. Poi inizieranno ad implorare per avere più navi. E per cosa? Per combattere i nemici? Ma no, assolutamente no. A puro scopo difensivo, naturalmente! Poi, per puro caso, annunciano delle manovre nel Pacifico. Per difesa. Ah sì, per difesa...Il Pacifico è un grande oceano. Abbiamo una linea costiera molto estesa, nel Pacifico. Queste manovre saranno forse poco distanti dalla nostra costa o... lontane due o trecento miglia? Peggio, le manovre saranno migliaia, sì è così, anche trentacinque miglia al largo della costa. I giapponesi, un popolo fiero, saranno certamente felici oltre ogni misura di vedere la flotta statunitense così vicina alla loro costa nipponica. Tanto felici quanto lo sarebbero i cittadini californiani se si ritrovassero ad intravedere vagamente, nella foschia mattutina, una flotta giapponese che gioca alla guerra contro la città di Los Angeles. Le navi della nostra marina, chiunque può verificarlo, dovrebbero essere limitate, per legge, a non allontanarsi più di 200 miglia dalla costa. Se si fosse applicata la legge, nel 1898 la corazzata Maine non sarebbe mai arrivata al porto dell'Avana. Non sarebbe mai stata affondata. Non ci sarebbe stata alcuna guerra con la Spagna e tutte le morti che comportò. Duecento miglia sono sufficienti, secondo l'opinione degli esperti, a scopo di difesa. La nostra nazione non può avviare alcuna offensiva di guerra, se le navi non possono allontanarsi più di 200 miglia dalla costa. Gli aerei potrebbero eventualmente avere il permesso di allontanarsi fino a 500 miglia dalla costa a scopo di riconoscimento. E l'esercito non dovrebbe mai superare il limite territoriale della nostra nazione. In sintesi: è necessario compiere tre passi per sconfiggere il racket. Dobbiamo portare i profitti fuori dalla guerra. Dobbiamo permettere alla gioventù della nostra nazione che porta le armi di decidere se vi debba essere o no una guerra. Dobbiamo limitare le nostre forze militari a puro scopo difensivo.



[Seconda Guerra Mondiale - Immagini]

CAPITOLO CINQUE - AL DIAVOLO LA GUERRA!

Non sono così idiota da pensare che la guerra sia una cosa del passato. So che il popolo la guerra non la vuole, ma non ha senso pensare che non potremo essere trasportati in un'altra guerra. Guardando indietro, Woodrow Wilson venne rieletto presidente nel 1916 basando la campagna sul fatto che "ci aveva tenuti fuori dalla guerra", e sulla promessa implicita che avrebbe continuato a tenercene fuori. Poi chiese al Congresso, solo 5 mesi dopo la sua elezione, di dichiarare guerra alla Germania. In questo arco di cinque mesi non venne chiesto al popolo se per caso avesse cambiato idea sulla guerra. Ai 4 milioni di giovani uomini che indossarono le uniformi e marciarono o salparono oltreoceano non si chiese se intendevano andare avanti, incontrando sofferenza e morte. Allora che cosa fece cambiare così improvvisamente idea al nostro governo? Il denaro. Una commissione di alleati, qualcuno ricorderà, si incontrò con noi poco prima della dichiarazione di guerra e fece visita al presidente. Il presidente convocò un gruppo di consiglieri. Il capo della commissione parlò. Spoglio da ogni formalità diplomatica, questo è quanto il presidente e il suo gruppo si sentirono dire: "È inutile che continuiamo a farci delle illusioni. La causa degli alleati è persa. Ora vi dobbiamo [a voi banchieri, fabbricanti d'armi, produttori, speculatori, esportatori degli Stati Uniti] 5 o 6 miliardi di dollari. Se perdiamo (e senza l'aiuto degli Stati Uniti perderemo) noi, l'Inghilterra, la Francia e l'Italia, non potremo ripagarvi questo denaro... e il debito non ce lo estinguerà certo la Germania.Quindi..." Se il mantenimento del segreto fosse stato illegale, durante queste negoziazioni, e se la stampa fosse stata invitata ad essere presente durante la conferenza, o se la radio avesse trasmesso questi discorsi, gli Stati Uniti non sarebbero mai entrati nella Guerra Mondiale. Ma questa conferenza, come tutte le discussioni di guerra, si tenne nella più massima segretezza. Quando i nostri ragazzi vennero mandati al fronte, venne detto che "era per creare un mondo più sicuro e più democratico" e che era la "guerra per chiudere tutte le guerre". A distanza di diciotto anni, il mondo è meno democratico di quanto lo fosse prima. Ma poi, cosa dovrebbe interessare a noi se la Russia o la Germania o la Francia o l'Italia o l'Austria vivono sotto un regime democratico o monarchico? Se sono paesi fascisti o comunisti? Il nostro compito è quella di preservare la democrazia nel nostro paese. E poco è stato fatto, se non nulla, per garantirci che la Guerra Mondiale sarebbe stata davvero la guerra per chiudere tutte le guerre. Sì, abbiamo avuto le conferenze sul disarmo e sull'uso limitato delle armi. Non significano nulla. Una è stata fallimentare: un'altra ha dato risultati che sono stati vanificati. Spediamo i nostri soldati e i nostri marinai professionisti e i nostri politici e i nostri diplomatici a queste conferenze. E cosa succede? Questi soldati e marinai professionisti non vogliono il disarmo. Nessun ammiraglio vuole essere senza la sua nave. Nessun generale vuole essere senza comando. Entrambi significano uomini senza lavoro. Loro non sono per il disarmo. Non possono essere a favore dell'uso limitato delle armi. E a tutte queste conferenze, distanti dalla scena principale ma provvisti di grande potere, troviamo i sinistri agenti di coloro che traggono profitti dalla guerra. Che sanno bene che queste conferenze non contribuiranno al disarmo e non limiteranno seriamente gli armamenti. Lo scopo principale delle persone di potere, a qualunque di queste conferenze, non è stato quello di ottenere il disarmo, o di prevenire una guerra, ma piuttosto di avere più armi per loro e meno per ogni loro avversario. Esiste una sola strada realmente praticabile per ottenere il disarmo. Consiste in una coalizione di tutte le nazioni in cui ognuna di esse demolisca tutte le navi, tutte le armi da fuoco, tutti i fucili, tutti i carri armati, e tutti i piani di guerra. E anche così, se mai succedesse, non sarebbe sufficiente. La prossima guerra, secondo gli esperti, sarà combattuta non con delle corazzate, non dall'artiglieria, non con dei fucili e non con delle mitragliatrici. Sarà combattuta con gas e sostanze chimiche mortali. Di nascosto, ogni nazione sta studiando e perfezionando metodi sempre più letali per annientare tutti i suoi avversari. Sì, si continuerà a costruire le navi, perché i costruttori non vogliono smettere di guadagnare. E si continueranno a produrre anche le armi da fuoco, e gli esplosivi, e i fucili, perché anche i fabbricanti di munizioni non vogliono smettere di guadagnare. E i soldati, naturalmente, devono indossare le uniformi, visto che nemmeno i fabbricanti di uniformi vogliono privarsi dei loro profitti di guerra. Ma la vittoria e la sconfitta sarà ormai determinata dalla preparazione e dall'ingenuità dei nostri scienziati. Se li mettiamo al lavoro facendoli inventare nuovi gas velenosi e nuovi diabolici strumenti meccanici e distruttivi esplosivi, non avranno più tempo per un lavoro costruttivo, per garantire maggiore prosperità a tutta la popolazione. Con un lavoro costruttivo, tutti noi potremmo ottenere dei guadagni in nome della pace e fuori dalla guerra - pure i fabbricanti d'armi.


Quindi... vi dico, AL DIAVOLO LA GUERRA.




Chi è Magdi Allam?

Interpellanza presentata il 13/07/2006 al Senato della Repubblica.
(altre informazioni sono disponibili qui)

Al Ministro dell'interno

Premesso che:

il sig. Magdi Allam, giornalista del Corriere della Sera, nel suo ultimo libro "Io amo l'Italia, ma gli italiani la amano?" racconta che mentre si trovava per lavoro in Kuwait, nel marzo del 2003, fu contattato dal SISDE, che gli impose di lasciare quel paese in quanto avevano "appreso di un progetto di uccidermi [Magdi Allam, cioè] di Hamas";

che questa "condanna a morte (…) decretata ai più alti vertici dell'organizzazione terroristica palestinese Hamas" è stata "ispirata, raccolta, legittimata sul piano coranico e rilanciata dai loro agenti locali affiliati all'UCOII (organizzazione delle Comunità e Organizzazioni Islamiche in Italia);

che secondo quanto riferito nello stesso libro dal sig. Magdi Allam l'UCOII, unitamente alla IADL (Islamic Anti-Defamation League), definita quest'ultima dallo stesso sig. Allam "una sorta di tribunale dell'inquisizione islamica che opera come braccio legale dell'UCOII" sarebbero "riusciti ad assoldare nel loro plotone di esecuzione estremisti di destra e di sinistra" nonchè a "spargere veleni sulla mia [di Magdi Allam] credibilità ed onorabilità";

che il sig. Magdi Allam vive scortato da carabinieri a causa di non meglio precisate minacce, tra le quali spiccano l'apertura di un sito parodistico internet recante il suo nome che contiene una rivisitazione del "J'accuse" di Émile Zola, la lettera di un mitomane che gli scrive di aver ricevuto l'ordine di ucciderlo da un non meglio precisato uomo di Bruxelles e qualche definizione satirica e/o caustica;

preso atto che:

le segnalazioni a mezzo stampa del sig. Allam hanno cagionato l'espulsione di alcune persone, risultate poi innocenti per i fatti loro addebitati dal giornalista e reintegrate sul territorio italiano con sentenze dei Tribunali Amministrativi della Repubblica;

il sig. Allam divulga frequentemente indirizzi privati delle persone che hanno opinioni contrastanti con le proprie, mettendo a rischio l'incolumità ed il privato di queste persone;

comportamenti come quelli descritti sono suscettibili di alimentare un clima di isteria collettiva che potrebbe portare al diffondersi dell'islamofobia e dell' antislamismo, denunciata nell'ultimo rapporto dell'UE sul razzismo;


considerato che:

Non risulta che l'organizzazione Hamas agisca al di fuori dei Territori Occupati della Palestina o della Palestina Mandataria oggi conosciuta come Stato d'Israele;

L'Ucoii è stata nominata con decreto ministeriale a fare parte della Consulta per l'Islam italiano, istituita dal precedente governo, lo stesso che gli ha assegnato la scorta perché minacciato dall'Ucoii;

La Iadl è stata definita da un ministro del precedente governo, l'On. Giovanardi, in risposta ad un'interrogazione, durante la seduta della Camera dei Deputati n. 724 del 22/12/2005 "Per quel che riguarda l'associazione Iadl (Islamic anti defamation leaugue), costituita nel luglio scorso e con sede a Roma, segnalo che la stessa ha fra i propri fini statutari quello di difendere, nello spirito della Costituzione italiana, i musulmani e le altre minoranze presenti nel territorio nazionale. Oltretutto, si sa benissimo che gli autori degli scritti e dei comunicati diffusi dall'associazione medesima possono far uso di pseudonimi, i quali, però, debbono trovare riscontro nei libri sociali affinché sia comunque consentita l'individuazione per fini legali."
Non risultano aperti procedimenti penali a carico dell'Ucoii o della Iadl, tanto meno per l'istigazione all'omicidio del sig. Magdi Allam o altre azioni contro l'integrità dello Stato;

Che lo stesso Allam ha costruito svariati articoli, che non hanno trovato conferme nella realtà, basandosi su generiche "fonti dei servizi"

Per sapere

Quali sono le considerazioni che hanno spinto il governo da un lato a nominare l'Ucoii nella Consulta per l'Islam in Italia e a difendere l'operato della Iadl in Parlamento e dall'altro a concedere la scorta al signor Magdi Allam?

Alla luce dell'assenza di procedimenti penali scaturenti dalle gravissime denunce di persecuzione nei confronti del sig. Allam, giudica il ministro ancora attuali i motivi che hanno portato all'assegnazione di detta scorta e in ogni caso quali sono gli attuali motivi di tale provvedimento?

Quali sono i costi, sia in termini finanziari sia in termini di risorse umane, dell'apparato di sicurezza disposto per la protezione del sig. Magdi Allam?

Visti i frequenti riferimenti negli articoli di Magdi Allam a non meglio precisate "fonti dei servizi", e le recenti rivelazioni sull'esistenza di rapporti tra alcuni giornalisti e presunti elementi deviati del Sismi, se vi sono eventuali rapporti illeciti tra tali elementi deviati e il sig. Magdi Allam.

Considerato che lo stesso Allam si vanta di aver ottenuto fraudolentemente il rinnovo del permesso di soggiorno, tale illecito potrebbe avere effetti sulla validità della successiva acquisizione da parte sua della cittadinanza italiana?

Sen. Luigi Malabarba


"La maggior parte delle discussioni deriva dal vedere un solo lato delle questioni e dal credere che esso sia il solo giusto.", Honoré de Balzac

22 luglio 2006

Spagna! E chi se non loro?

(fonte: http://www.ilcircolo.net/lia/ )

La vicenda, in sintesi. E la racconto cercando di sovrappormi all'orgoglio patrio, ché sarà pure vero che sono italiana e il mio passaporto pure, ma io là ci sono cresciuta. Non a caso. Eccheccavoli. Dunque. Zapatero rilascia le seguenti dichiarazioni:

"Noi condanniamo ogni tipo di violenza e rifiutiamo il sequestro dei due soldati israeliani, ma dobbiamo esigere che nessuno si difenda con una forza illegittima che non permette difesa ad esseri umani innocenti. Gli Stati hanno il diritto di difendersi dal terrorismo e dal fanatismo ma, innanzitutto, i primi ad avere il diritto di essere difesi sono gli esseri umani innocenti: i silenzi di oggi, di fronte al Medio Oriente, potrebbero essere il pentimento di domani, quando si conteranno le perdite di vite umane."

Chiaro e limpido. Poi succede che, al termine di un incontro col Forum Internazionale della Gioventù Socialista, un gruppo di ragazzi lo circonda per farsi una foto con lui e uno di loro gli mette una kefia al collo. Zapatero la toglie subito ma, intanto, lo hanno fotografato. E la foto fa il giro del mondo, con la CNN in testa. Vabbe'. Ma poi. L'ambasciatore israeliano in Spagna rilascia dichiarazioni incavolate e, come dire, minacciose: "Ogni dichiarazione non equidistante comporterà conseguenze per coloro che vorranno in seguito usare la propria influenza per mediare nella regione". (Ma questi israeliani, dico io, dove la imparano la diplomazia? Nelle pizzerie italiane di Brooklyn? Studiano sui testi dello sceneggiatore del Padrino? Santo cielo.) E poi scende in campo il mondo degli affari, nella veste di tale Mauricio Hachuel, rappresentante degli imprenditori nonché ex dirigente della comunità ebraica spagnola. Che, davanti al ministro degli Esteri Moratinos, se ne è uscito dicendo che la comunità voleva esprimere profonda preoccupazione per le dichiarazioni di Zapatero che erano... ... indovina?... ... indovini?... Sì: "Declaraciones anti-Israel y antisemitas y no las podemos aceptar". Ed è che evidentemente pensava di stare in Italia, questo qua. Pensava che di fronte alla parolina magica, "antisemita!", il ministro e la stampa tutta si sarebbero messi in ginocchio, avrebbero mostrato le terga da sculacciare e avrebbero chiesto pietà-perdono-pietà. Credeva di stare in Italia, lui. E invece no. Perché Moratinos, che al mondo ci sta da un bel pezzo e ci sa stare, si è incavolato come una iena e, puntandogli il dito, gli ha detto: "Che sia l'ultima volta, e dico l'ultima volta, che ti venga in mente di dare pubblicamente dell'antisemita al governo spagnolo!" E poi, lì e alla stampa tutta:

"Non si fa nessun favore a Israele, andandogli a dire che fa una cosa giusta attaccando la popolazione civile del Libano e di Gaza. Israele dovrebbe ringraziarci per la nostra franchezza e per il nostro impegno civile. Per caso gli israeliani si sentono più sicuri, adesso? Io dico di no. Disgraziatamente, le azioni unilaterali non apportano sicurezza ad Israele."

Applausi. E che cavoli. Ancora applausi. Qui gongolavano, i colleghi spagnoli, ed un corale "Ben detto!" sembrava venire fuori da tutti i telegiornali spagnoli, da tutte le immagini delle manifestazioni pro-Libano di Barcellona e Madrid. Una lezione di dignità e di serietà, e ci voleva. Già: perché oggi hanno manifestato, lì, ed hanno manifestato sul serio, con le piazze piene. E con gli spagnoli che hanno dovuto lasciare il Libano, in testa al corteo. In prima fila. Guarda: non è solo politica, questo. C'è un aspetto profondo dell'anima della Spagna, in una cosa così. C'è il motivo per cui io la amo. Diceva Ortega, provocatorio: "Yo soy un hombre español que ama las cosas en su pureza natural, que gusta de recibirlas tal y como son, con claridad, sin que se confundan unas con otras, sin que yo ponga nada sobre ellas: soy un hombre que quiere, ante todo, ver y tocar las cosas y que no se place imaginándolas: soy un hombre sin imaginación” .
C'è che, in Spagna, a manipolare la realtà non si va molto lontano. Il paese non si presta. La testa della gente non si presta. La lingua stessa, proprio non si presta. E' fatto per chiamare le cose con il proprio nome, lo spagnolo. E gli spagnoli, pure. La realtà esiste e la tocchi, da quelle parti. Noi, si vede che di immaginazione ne abbiamo anche troppa. E ci prestiamo meglio ai giochi di specchi, ai miraggi. Alle ambiguità. E a una certa vigliaccheria che ne deriva, ché quando la realtà la maneggi a piacimento, te la adatti anche secondo la tua convenienza.

"Ci sono soltanto due specie di uomini: gli uni, giusti, che si credono peccatori; gli altri, peccatori, che si credono giusti.", Blaise Pascal

20 luglio 2006

Nei secoli Fidel

(fonte: Uliwood Party, 25/05/06, Marco Travaglio)

Per festeggiare la messa in mora che apre formalmente la procedura della Commissione europea contro la Legge Gasparri pubblico un articolo di Marco Travaglio di pochi mesi fa:

Chi ha visto “Otto e mezzo” di martedì ha potuto capire meglio il discorso di Nanni Moretti sul berlusconismo dopo Berlusconi. Il neoministro alle Comunicazioni Paolo Gentiloni duettava da pari a pari col presidente di Mediaset Fedele Confalonieri dinanzi a un arbitro disinteressato: Giuliano Ferrara. Si parlava di conflitto d’interessi, antitrust, legge Gasparri, cosine così. Il ministro informava che gli editori di tv non saranno dichiarati ineleggibili (come peraltro stabilisce la legge del 1957): tutto verrà risolto con un comodo blind trust che non risolverà nulla (come ha ammesso lo stesso Confalonieri). Ma, a prescindere dalle cose dette, bastavano le facce, ad audio spento, per intuire come andrà a finire anche stavolta. Ormai, come dice Luttazzi, il conflitto d’interessi è diventato ambiente. Gentiloni non è uomo da inciuci e, probabilmente, è in assoluta buona fede. Ma trova del tutto normale che chi dovrebbe smantellare il conflitto d’interessi e il trust ne discuta col presidente dell’azienda che incarna il conflitto d’interessi e il trust. Da quando è passata la balzana idea che Mediaset è «un grande patrimonio del Paese» (in realtà è un patrimonio del suo maggiore azionista, che incidentalmente è pure il capo dell’opposizione), Confalonieri è assurto al rango di monumento nazionale. Un’istituzione. Il rappresentante di un gruppo privato che da 12 anni viola due sentenze della Corte costituzionale continuando a occupare le frequenze di tre reti su terra potendone possedere solo due (una spetterebbe a Europa 7 di Francesco Di Stefano, ma Ferrara s’è dimenticato di invitarlo e Gentiloni s’è scordato di citarlo), per non parlare del Codice penale, s’è trasformato in un oracolo da consultare nei momenti-chiave della vita pubblica. C’è da nominare il presidente della Rai, cioè della concorrenza? Confalonieri vedrebbe bene Petruccioli. C’è da eleggere il capo dello Stato? A Confalonieri non dispiace D’Alema. Prodi offre le Comunicazioni a Di Pietro? Confalonieri non gradisce. C’è da rimpiazzare il dg della Rai, cioè della concorrenza? Confalonieri ha il suo candidato, ma «non lo dico per non bruciarlo». C’è da cambiare la Gasparri? Confalonieri avverte: «Non ci provate». È bello sapere che, su ogni dilemma della nostra vita quotidiana, possiamo contare su una voce amica. Slip o boxer? Chiediamo a Confalonieri. Vacanze al mare o ai monti? Interpelliamo Confalonieri. Rasoio elettrico o lamette? Facciamo decidere a Confalonieri. La privatizzazione delle istituzioni è giunta al punto che anche i più insospettabili hanno imparato a conviverci. Naturalmente Confalonieri fa benissimo a difendere gl’interessi della sua azienda/lobby, e se lo fa alla luce del sole tanto meglio per tutti. Il problema non è lui. Sono gli altri. È l’idea che i problemi si risolvano mettendosi d’accordo, mediando, facendo compromessi con chi quei problemi rappresenta. Come se la cosa pubblica fosse la frazione matematica fra interesse generale e interessi di bottega. Negli Stati Uniti l’Antitrust è più volte intervenuta a sanzionare il gruppo Microsoft per abuso di posizione dominante, imponendogli di cedere i rami eccedenti il tetto massimo consentita. Ma non s’è mai sognata di invitare Bill Gates a dibattiti tv o a negoziati bilaterali per trovare un accordo a metà strada: i rappresentanti dello Stato ascoltano le parti, ma alla fine impongono la potestà della Legge, che non è trattabile. E alla fine il privato obbedisce. Certo, gli Usa sono agevolati dal fatto di avere uno Stato e, dunque, di non conoscere “Otto e mezzo”. Hanno chiaro il confine fra pubblico e privato. A proposito. La Velina Rossa ha lanciato l’idea di nominare senatore a vita Bellachioma, quello che disconosce il risultato delle elezioni, minaccia lo sciopero fiscale e il ritiro dal Parlamento di tutti gli eletti dell’opposizione. Per completare l’opera, si potrebbe promuovere Confalonieri presidente della Corte costituzionale, sostituire l’inno di Mameli con quello di Forza Italia ed erigere, al Vittoriano, un monumento allo stalliere.

Approfondimenti:

"Quando l'oro parla, l'eloquenza è senza forza.", Erasmo da Rotterdam

18 luglio 2006

La scuola è aperta a tutti

(fonte: corriere.it)

«La scuola italiana è di tutti e per tutti». Il ministro della Pubblica Istruzione, Giuseppe Fioroni, prende le distanze dall'idea di scuola espressa dal cardinale Angelo Scola in un'intervista al Corriere della Sera. «Lo Stato — questo in estrema sintesi il pensiero del Patriarca di Venezia — deve rinunciare in linea di massima a farsi attore propositivo diretto di progetti scolastici e universitari per lasciare questo compito alla società civile». La proposta è rivoluzionaria e il ministro Fioroni non la rinvia al mittente: merita «riflessione e approfondimento. «Ma la riflessione — precisa — va fatta nell'interesse della scuola italiana, che è la scuola di tutti e per tutti». Ovvero non una scuola di tendenza. Il ministro, in buona sostanza, dice no a quanti ritengono, come il cardinale, che lo Stato in materia di educazione debba ritirarsi e lasciar fare alla società civile, senza tuttavia condividere la posizione opposta, secondo cui la scuola deve essere soprattutto di Stato. Le reazioni alla tesi di Scola non si sono fatte attendere. Per Albertina Soliani, capogruppo dell'Ulivo nella commissione Cultura, «il proliferare di scuole al di fuori di un impegno della Repubblica per l'istruzione porterebbe a una deriva dannosa per il Paese». «Mi preoccupa l'idea di prevedere scuole di tipo islamico — continua la senatrice —. Molto più utile una scuola di tutti, laica, aperta alle diverse religioni e culture». Per la maggioranza il rischio implicito nella visione del cardinale è quello di una proliferazione di scuole di tendenza: religiosa e politica. Lo teme Franco Monaco della Margherita: «È l'opposto di ciò di cui abbiamo bisogno». Preoccupato il presidente della Camera, Fausto Bertinotti: «Penso che la scuola in una società che diventa sempre più meticcia debba essere unitaria e cioè pubblica per comprendere tutte le etnie, le religioni e i punti di vista, in una costruzione unitaria che è quella della convivenza in cui ognuno rispetti l'altro ma si confronti con lui quotidianamente». Non è la scuola che piace alla Cdl, che difende il patriarca di Venezia. Riccardo Pedrizzi (An) condivide l'impostazione di Scola: «Bisogna passare dalla scuola dello Stato alla scuola della società civile». Per Maurizio Sacconi (FI) «la considerazione del patriarca deve indurre una riflessione meditata». La Compagnia delle Opere, infine, si dice perfettamente d'accordo con quanto affermato da Scola: «Un sistema regolato che consenta una competizione virtuosa tra i soggetti dell'istruzione è la migliore garanzia per lo sviluppo del capitale umano in Italia».

Costituzione della Repubblica Italiana, Art. 34: "La scuola è aperta a tutti. L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso."

Chi semina vento raccoglie tempesta

(fonte: As'Ad Abukhalil - Arab News Service)

"Cari amici e colleghi,

Dovrete scusarmi per avervi inviato questa mail. Sono foto dei corpi dei bambini uccisi dagli Israeliani nel Libano del Sud. Sono tutti bruciati. Ho bisogno del vostro aiuto. Sono quasi certo che queste foto non saranno pubblicate in Occidente, nonostante siano della Associated Press. Ho bisogno del vostro aiuto per mostrarle, se potete. Il problema è che queste sono persone a cui è stato chiesto di lasciare il loro villaggio, Ter Hafra, questa mattina, entro due ore, o meno ... Dunque quelli che erano in grado di fuggire si sono recati alla vicina base delle Nazioni Unite, dove è stato chiesto loro di andarsene. Penso che dopo il massacro di Qana nel 1996, quando i civili furono bombardati nonostante si fossero rifugiati nei quartieri delle Nazioni Unite, l'ONU non vuole essere responsabile per delle vite civili. POCHI MINUTI FA, gli Israeliani hanno chiesto alla gente del villaggio Al Bustan a Sud di evacuare le loro case. Sono preoccupato che i massacri continueranno ad avere luogo finché le azioni israeliane saranno prive di controllo. Vi prego, aiutateci, se potete.

Hanady Salman"


Per il loro contenuto forte, di grande impatto emotivo, ho scelto di non pubblicare le foto direttamente su questo blog ma di fornire il link ad esse. Fino a quando proseguiranno in Medioriente i bombardamenti, sia israeliani che libanesi, questo blog porterà un piccolo lutto in alto a destra della barra laterale, per esprimere la mia solidarietà verso tutte le vittime civili.

"La guerra è la scienza della distruzione.", John Joseph Caldwell Abbott

16 luglio 2006

"Miseria umana della pubblicità"

(fonte: Gruppo MARCUSE, Elèuthera, 144 pp., € 12,00)

Il libro, da cui è tratto l'estratto che segue, è acquistabile qui.

La pubblicità, arma del marketing, è l’arte di vendere qualsiasi cosa a chiunque e con qualsiasi mezzo. Per la precisione, è il marketing nella sua dimensione comunicazionale. Passando attraverso la scappatoia dei media, essa costituisce l’archetipo della «comunicazione». La critica alla pubblicità si estende quindi alla critica contro il marketing e contro la comunicazione: questi tre flagelli compongono insieme il sistema pubblicitario. Ma questo sistema è stato generato dal capitalismo industriale, che finanzia i media di massa di cui orienta il contenuto. Il problema perciò non si riduce all’abbrutimento pubblicitario, include anche la disinformazione mediatica e la devastazione industriale. Non bisogna illudersi: la pubblicità è solo la punta dell’iceberg del sistema pubblicitario, ovvero di quell’oceano glaciale nel quale si sviluppa ed espande la società consumista con la sua crescita devastante. E se siamo contro tale sistema e tale società, è perché il nostro stile di vita sta uccidendo il mondo. L’effetto principale della pubblicità è la propagazione del consumismo. Basato sull’iperconsumo, questo stile di vita riposa sul produttivismo, e dunque implica lo sfruttamento crescente delle persone e delle risorse naturali. Tutto ciò che consumiamo comporta meno risorse e più scarti, più nocività e più lavoro depauperante. Il consumismo porta così alla devastazione del mondo, alla sua trasformazione in deserto materiale e spirituale: un ambiente dove sarà sempre più difficile vivere e sopravvivere in modo umano. In questo deserto prospera la miseria fisica e psichica, sociale e morale. Gli immaginari tendono ad atrofizzarsi, le relazioni sono disumanizzate, la solidarietà si decompone, le competenze personali diminuiscono, l’autonomia sparisce, i corpi e le menti vengono standardizzati.
La miseria umana della pubblicità è, dunque, sia questa vita impoverita che esalta una pubblicità onnipresente, sia la miseria degli ambienti pubblicitari stessi, che illustrano in modo caricaturale l’impoverimento morale di cui soffre la società mercantile.
Il cinismo - di cui alcuni menano vanto - fa parte a tal punto del loro «folclore professionale» che, ad esempio, nessuno osa contestare la descrizione romanzesca che ne fa Frédéric Beigbeder. Secondo François Biehler, pubblicitario sempre in servizio, essa è «rigorosamente esatta». Come può giustificare la sua professione, allora?
«La pubblicità serve anche a rilanciare i consumi». I pubblicitari stessi non negano che ciò implica una buona parte di manipolazione. E cosa significa manipolare qualcuno, se non fargli fare qualcosa che non avrebbe mai fatto spontaneamente, come rinnovare inutilmente merce futile e nociva? Come diceva Machiavelli, il fine giustifica i mezzi. Biehler deve quindi ritenere tollerabile questa manipolazione, in quanto si compie in nome di un fine eminentemente consensuale: «Rilanciare i consumi e far funzionare l’economia, il che, a priori, non è condannabile».
Ecco che si tocca l’assioma che viene sotteso nella schiacciante maggioranza dei discorsi sulla pubblicità: è bene, anzi necessario, stimolare la Crescita, questa Vacca Sacra invocata in coro da tutti i politici, questo Messia del quale si acclama il ritorno. Se si accetta il dogma fondante dell’economicismo, pregiudizio che quasi nessuno contesta malgrado i suoi effetti disastrosi sulle nostre vite, allora la pubblicità è effettivamente indispensabile, tanto che diventa difficile metterla in discussione. Se invece la volontà di produrre si giustifica con il fatto che ne dipende la sopravvivenza materiale, in società come le nostre, dove regnano spreco e sovrapproduzione, si tratta di un presupposto irragionevole, irresponsabile e pericoloso. Dobbiamo inziare a renderci conto che la crescita, divenuta fine a se stessa, invece di corrispondere ai nostri bisogni è prima di tutto crescita di nocività e di diseguaglianza.
La pubblicità è indissolubilmente legata alla devastazione del mondo, di cui è uno dei motori. Essa vi contribuisce doppiamente: spingendo l’iperconsumo di merce industriale, favorisce lo sviluppo di un’economia devastatrice; e dissimulandone le conseguenze, frena una presa di coscienza ogni giorno più urgente se si vuole evitare il peggio. Essa deve dunque essere oggetto di una critica radicale, cioè di un’analisi che risalga fino alle sue radici. Solo coloro che identificano saggezza e acquiescenza, spirito critico e consenso mediatico, possono accontentarsi della denuncia dei suoi eccessi più flagranti. Ma soltanto risalendo alle radici si potrà comprendere la ragione dei suoi abusi così ordinari, in particolare dell’estrema violenza che fa subire alle donne. Ma nessuno ne esce indenne, come mostrerà questo manifesto contro la pubblicità e contro «la vita che vi si rispecchia».
Per gentile concessione dell’editore ecco un capitolo e un estratto dalle conclusioni di “Miseria umana della pubblicità”

Approfondimenti:

"Oggi si conosce il prezzo di tutte le cose e il valore di nessuna", Oscar Wilde

12 luglio 2006

La pluralità umana


"La pluralità umana, condizione fondamentale sia del discorso sia dell'azione, ha il duplice carattere dell'eguaglianza e della distinzione. Se gli uomini non fossero uguali, non potrebbero né comprendersi fra loro, né comprendere i propri predecessori, né fare progetti per il futuro e prevedere le necessità dei loro successori. Se gli uomini non fossero diversi, e ogni essere umano distinto da ogni altro che è, fu o mai sarà, non avrebbero bisogno né del discorso né dell'azione per comprendersi a vicenda. Sarebbero soltanto sufficienti segni e suoni per comunicare desideri e necessità immediati e identici.", Hannah Arendt, Vita Activa - La condizione umana

11 luglio 2006

Petrolio angolano

(fonte: nigrizia.it, Luciano Bertozzi)

L’ENI con 1.229 miliardi di dollari si è aggiudicata i diritti per lo sfruttamento petrolifero di un’area marina a 350 chilometri al largo di Luanda (Angola), considerata la più ricca dell’Africa occidentale. L’importo, che ha come fonte l’ambasciata italiana in Angola, comprende 902 milioni di dollari per la concessione vera e propria, cui sono poi da aggiungere 287 milioni per le infrastrutture e 40 milioni per la realizzazione di opere sociali richieste dal governo angolano. “E’ un record assoluto – ha affermato Carlos Saturnino direttore della compagnia petrolifera angolana Sonagol – nell’intera storia del petrolio”. La società italiana è già presente da tempo nel paese africano, con una produzione giornaliera pari ad oltre 120.000 barili, destinati a diventare 220.000 nel 2009, inoltre a breve saranno aggiudicate le aree per lo sfruttamento di altre zone petrolifere marine. Attualmente l’Angola produce quotidianamente 1,4 milioni di barili, che dovrebbero diventare 2 milioni entro il 2008. Con una simile produzione Luanda diventerà il secondo produttore dell’Africa subsahariana, dopo la Nigeria. Oggi l’economia dell’Angola è largamente dipendente dall’oro nero, che costituisce circa la metà del PIL nazionale, il 95% delle esportazioni e l’80% delle entrate statali. Tuttavia, nonostante tali introiti il paese è uno dei più poveri del mondo, agli ultimi posti in tutti gli indicatori sociali del pianeta. E’, quindi, necessario evitare ciò che si è verificato in altri paesi, ricchissimi di materie prime. Come accade in Nigeria dove sono stati incassati 300 miliardi di dollari dal petrolio in alcuni decenni. In altre parole la manna petrolifera si deve trasformare in una grande possibilità di sviluppo e non in un esclusivo vantaggio delle élites al potere. In questo senso è importante che vi sia la massima trasparenza sui conti del petrolio, né questi soldi devono andare ad incrementare le spese militari. Del resto l’Unione Africana stima che la corruzione costi alle economie africane oltre il 25% dell’intero PIL del continente. Ultimamente il Parlamento Europeo ha chiesto alle multinazionali del settore estrattivo ed energetico in particolare di rivelare in maniera sistematica e trasparente le informazioni concernenti le tasse ed i canoni concessi ai governi.

"L'egoismo è sempre stato la peste della società e quanto è stato maggiore, tanto peggiore è stata la condizione della società.", Giacomo Leopardi

10 luglio 2006

Campioni del Mondo

"Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. E’ rito nel fondo, anche se è invasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro.", Pier Paolo Pasolini

7 luglio 2006

Niente inchiesta, «costa troppo»

(fonte: Maurizio Blondet, Effedieffe - 06.07.06)

Tony Blair ha annunciato che non si farà alcuna inchiesta sull'attentato al metrò di Londra del 7 luglio 2005. La scusa: «Costerebbe milioni e milioni di sterline». Blair ha citato gli altissimi costi per l'inchiesta della «domenica di sangue» a Londonderry del 1998, dove 14 attivisti irlandesi furono massacrati da parà britannici durante una marcia pacifica. Nessun colpevole trovato (che disdetta) nonostante, ha detto il portavoce di Downing Street, 400 milioni di sterline spesi. «Con questa cifra si potrebbero pagare 15 mila infermiere, 5 mila medici, 11 mila poliziotti, oppure 13 elicotteri Apaches per le nostre truppe in Iraq e Afgnanistan» (sic. Non c'è dubbio dove andrà la somma risparmiata). La cifra del resto è alquanto improbabile (prima, il costo dell'indagine sulla domenica di sangue era stato valutato ufficialmente a 160 milioni di sterline), e la scusa magrissima, addirittura imbarazzante per Blair. Tutto per rigettare una richiesta di una vera indagine ufficiale, che è avanzata a voce sempre più alta dalle famiglie delle vittime del 7 luglio, e da esponenti della comunità musulmana. Iqbal Sacranie, già segretario del consiglio islamico (è un Lord, membro della camera alta), ha protestato sostenendo che la comunità islamica è sempre più «alienata» da questo rifiuto di indagare su «come, chi e perché» ha fatto l'attentato. Pare, ha detto, che il governo abbia qualcosa da nascondere. E’ il meno che si possa dire. Sembra sempre più certo che Mohammed Siddique Khan, il cosiddetto «capo degli attentatori», il più adulto dei quattro, insegnante modello in una scuola per bambini difficili di Leeds, fosse un informatore del controspionaggio inglese, l’MI5. Lo ha sostenuto alla BBC Charles Shoebridge, già investigatore nella Polizia Metropolitana di Londra, laureato all’Accademia Militare Reale di Sandhurst, ed ora giornalista e scrittore sul tema del terrorismo in Gran Bretagna. Come ripetono varie fonti, l’auto Honda Accord di Khan conteneva microspie, inserite prima degli attentati, con il suo consenso. Come si ricorderà, quel giorno una ditta di cui non si è mai saputo il nome aveva ordinato alla Visor Consultants, una compagnia di sicurezza, di condurre un’esercitazione che simulava un attentato nel metrò nei luoghi e nell’ora dove realmente avvenne. L’ipotesi che prende corpo è che Khan, lungi dall’essere un terrorista fanatico, fosse un patriota britannico caduto in una trappola mentre credeva di fare il suo dovere, probabilmente testando la sicurezza della sotterranea come parte della «esercitazione». O almeno, questo è quello che musulmani e familiari dei morti vorrebbero fosse appurato da un’indagine. Blair ha risposto: «L’inchiesta distrarrebbe la polizia e le forze di sicurezza dall’impegno di parare la minaccia terrorista che continua, e alla fine ci direbbe quel che già sappiamo: che quattro individui sono venuti e hanno commesso l’atto». Anche Bush non ha fatto serie inchieste sull’11 settembre con l’identica scusa: sottrarrebbe energie alle forze antiterrorismo (le cui energie non hanno impedito i mega-attentati), che la minaccia terroristica non è finita anzi «continua»: dev’esserci un apposito formulario dei pretesti, elaborato da apposito ufficio di propaganda. Forse sarebbe ora di aggiornarlo. Soprattutto perché quella in corso è, come dice ufficialmente il Pentagono, «the long war», la guerra lunga per antonomasia. Non si può andare avanti per altri 15 anni di bombardamenti in Iraq, Afghanistan, e presto Siria e Iran (lo vuole Israele, la nota «ditta») ripetendo sempre le stesse scuse. Blair in compenso ha dato risposte brevi manu alle domande dei musulmani. «Non c’era un divieto della CIA su viaggi di Khan in America. Non c’erano apparati nella sua auto prima del 7 luglio. Non c’è stata informazione previa alla polizia di quel che stavano preparando» gli attentatori. «Queste storie sono semplicemente sbagliate». Così si fa nel libero, scientifico, legalistico Occidente: un atto di fede nel capo del governo che risponde al posto dei detectives, circa un evento tragico ed enorme. Tutto denaro risparmiato. Per gli Apaches.

"Il solo fondamento della verità è la possibilità di negarla", Luigi Einaudi

6 luglio 2006

Tedeschi "rosicano"

A Roma si dice "rosicano", nel senso che masticano amaro. I tedeschi, a due giorni dalla cocente sconfitta con l'Italia al mondiale, ne hanno tirata fuori un'altra. E' sempre il solito giornale a fare da grancassa, la 'Bild' (12 milioni di copie vendute). Dice che comunque vada loro sono migliori di noi, e non si parla solo di calcio. Ed elenca 50 motivi (non uno o due, cinquanta...) a supporto della tesi. In risposta all'articolo dello pseudogiornale tedesco (si tratta infatti di un quotidiano scandalistico, con poco valore informativo), ho raccolto 26 ironici motivi per cui noi siamo meglio dei tedeschi:

1) Perchè Rocco Siffredi é italiano
2) Perché i tedeschi sapranno pure rialzarsi quando cadono, ma a fine partita piangono
3) Perché abbiamo il bidé
4) Perché non ci scottiamo al sole
5) Perche' non ci brucia cosi tanto il culo per una sconfitta meritata
6) Perchè non mobilitiamo l'esercito quando un orso varca i confini nazionali.
7) Perchè noi saremmo anche un po' divisi, ma il muro l'hanno costruito loro.
8) Perchè Lippi non se la prende con le borracce.
9) Perche' la Ferrari fa piu' punti di Mercedes e BMW messe assieme.
10) Perche' 'Kaiser' deriva da 'Caesar'
11) Perché l'unico tedesco simpatico é l'ispettore Derrick.
12) Perché da loro ancora s'ascolta Toto Cotugno
13) Perchè è molto più facile vedere un italiano con una tedesca che un tedesco con un'italiana
14) Perchè il nostro allenatore vive in italia ed il loro in California
15) Perchè qui nessuno si azzarda ad andare in giro con sandali e calzini bianchi corti
16) Perchè noi non abbiamo bisogno di inventare 50 motivi perché la partita l'abbiamo vinta
17) Perchè loro per boicottarci devono rinunciare alla pizza, noi per boicottarli dovremmo costringerci a mangiare i crauti.
18) Perchè i nostri commissari sono essere umani e non cani lupo (vero rex???)
19) perche NOI la palla quando dobbiamo ridarla lo facciamo
20) Perché nessuno sano di mente in Italia si comprerebbe delle Mercedes beige o Verde pisello
21) Perchè il palo e la traversa stanno ancora a tremà!
22) Perchè non si fischia l'inno nazionale
23) Perchè gli antichi Romani non portavano elmi con le corna e un motivo ci sarà pure stato
24) Perchè loro hanno la Grossen koalitionen che non la butta dentro noi invece abbiamo Grossen und Del Pieren che la buttano dentro !
25) Perchè gli Italiani non hanno dovuto aspettare di organizzare un mondiale in Italia per avere una bandiera in casa

26) Perchè da noi non c'è "Bild"

5 luglio 2006

Italia in festa

Grosso. Di sinistro, a effetto. Grosso che qualche anno fa valeva 40 milioni (di lire). Del Piero. Di destro, nell’angolo alto. Del Piero, l’eterno incompiuto che tra qualche mese rischia di giocare in C. La nuova Italia-Germania è un sottosopra all’altezza dell’Azteca e del Bernabeu, con metà nazionale con un piede nelle serie minori e un altro nella finale dei Mondiali. E tutto accade nei supplementari fatali, come prevede il rito: palo di Gilardino, che l’anno prossimo potrebbe segnare all’Albinoleffe; traversa di Zambrotta, che rischia di andare in trasferta a Pizzighettone; e poi clamoroso gol di Fabio Grosso, una vita fra Angolanese, Chieti, Teramo, Perugia, con il Palermo come massimo traguardo (ma domani c’è l’Inter); infine Alessandro «Achille» Del Piero, il Godot finalmente arrivato. Nadir e zenit, abisso ed empireo, minimo e massimo. La Germania è in lutto, a Berlino vanno i loro camerieri e i loro gelatai, gli italiani.

3 luglio 2006

"Pulizia Etnica" a New Orleans

(fonte: GlobalResearch, Ghali Hassan, 25.06.2006)

In questi giorni i media parlano a malapena di New Orleans, la città in cui l'uragano Katrina ha colpito nel settembre 2005. La mancanza di informazioni su New Orleans è un'omissione deliberata, mentre la città e la popolazione continuano a soffrire. L'uragano Katrina è servito da precursore per "pulire" la città e la sua popolazione afro-americana, e creare una risorsa per turisti e Statunitensi ricchi. Lo scopo è imborghesire New Orleans e negare alla sua popolazione nera e povera il 'diritto al ritorno' alla propria città. La "ricostruzione" di New Orleans è divenuta un eufemismo per la distruzione della tradizione culturale e storica della città. I principali promotori e agenti immobiliari si stanno approfittando del nuovo sviluppo della città a spese della popolazione a basso reddito di New Orleans. Nell'attuale ambiente politico, gli sviluppi economici sembrano essere guidati da una visione estremamente ridotta capace di rispondere solo alle grandi aziende ad al turismo. L'Autorità per la Casa di New Orleans (The Housing Authority of New Orleans, HANO), in cooperazione con il Dipartimento Usa per la Casa e lo Sviluppo Urbano (U.S. Department of Housing and Urban Development, HUD) pianifica di demolire i più grandi complessi edilizi pubblici di New Orleans e di rimpiazzarli con inaffidabili unità abitative travestite dal programma "abitazioni per reddito misto" (Hope VI). Il programma Hope VI è atto a decentralizzare la povertà in base all'agenda neo-liberale. Il Segretario dello HUD, Alphonso Jackson, ha annunciato che oltre 5.200 unità abitative pubbliche – costruite per le persone a basso reddito di New Orleans – stanno per essere demolite e rimpiazzate con unità per persone con una gamma più ampia di redditi. Sarebbe la più grande demolizione nella storia della città, e includerebbe l'estensione dei complessi edilizi di pochi piani quali St. Bernard, C. J. Peete, B. W. Cooper e Lafitte. Le case sono state chiuse o recintate dalle autorità sin dall'urgano Katrina, per permettere loro di deteriorarsi. La decisione è stata presa nonostante la mancanza di abitazioni per oltre 200.000 persone ancora rifugiate tra i residenti di New Orleans. Molti dei rifugiati stanno vivendo in case abbandonate, senza acqua ed elettricità. E' possibile che oltre 3.500 famiglie non avranno un posto dove tornare se l'HUD procederà con la sua decisione di demolire le unità abitative pubbliche. Il programma Hope VI permette di tornare a solo il 14 % circa della popolazione originaria che viveva nelle case pubbliche. Le scuole pubbliche e i servizi sanitari ranno ridotti o rimossi per scoraggiare le persone dal tornare. Anche se ritornano, non ci saranno case pubbliche, nessuna sanità pubblica e non abbastanza scuole per loro e i loro figli. La realtà è questa: quelli "che hanno pianificato il processo di ripresa non hanno mai voluto che le persone povere tornassero nella città", ha detto al New York Times Lance Hill, direttore dell'Istituto Meridionale per l'Educazione e la Ricerca all'Università di Tulane. "E non hanno reso facile" tornare alle proprie case. In altre parole, le vittime saranno ancora più vittime. "Ciò equivale ad una pulizia etnica", ha detto Mike Howells, un membro dello United Front for Affordable Housing (fronte unite per case alla portata di tutti). "Sappiamo chi sta per essere eliminato come risultato", ha aggiunto Howells. Inoltre, la percentuale di case pubbliche sfitte a New Orleans, specialmente nelle aree meno colpite dall'urgano Katrina, è molto alta, ma gli affitti non sono alla portata delle persone con un reddito basso, e i proprietari stanno optando per mantenere le loro proprietà chiuse, riducendo ulteriormente la disponibilità di case in affitto. Nel censimento del 2000, la popolazione di New Orleans era nera per il 67.3 % e bianca per il 28.1 %. Comunque, nei quattro mesi che hanno seguito l'Uragano Katrina; "la popolazione dell'area metropolitana di New Orleans era per il 37 % nera tra gennaio e agosto 2005 ed è caduta al 22 % tra settembre e dicembre 2005. La percentuale di residenti bianchi è cresciuta dal 60 % al 73 %. I residenti che guadagnavano tra i 10.000 $ e i 14.999 $ all'anno sono scesi dal 8.3 % al 6.5 %; mentre quelli con un reddito annuo tra i 75.000 $ e i 99.999 $ sono aumentati dal 10.5 % al 11. 4 %", secondo le statistiche rilasciate dall'ufficio per il censimento nel giugno 2006. Il disastro dell'Uragano Katrina è usato attivamente per cambiare in modo artificiale la demografia di New Orleans. La popolazione dell'area metropolitana di New Orleans è diventata sostanzialmente più bianca, più vecchia e meno povera – non perché le persone si siano improvvisamente arricchite, ma perché i poveri sono stati eliminati dalla città – ed è precipitata a meno di metà della sua dimensione, secondo l'ufficio per il censimento. "New Orleans non sarà nera come lo era per molto tempo, se mai lo sarà di nuovo", ha detto Alphonso Jackson, e si sta muovendo velocemente in quella direzione. E' suggerito che solo i bianchi e i ricchi siano incoraggiati a fare di New Orleans la loro casa a spese degli afro-americani e della loro tradizione culturale. L'attuale ristrutturazione di New Orleans fornisce un eccellente esperimento sociale della nuova epidemia di privatizzazione delle case e e dei beni pubblici. La distruzione inflitta dall'Uragano Katrina permette ai politici, alle elite che comandano e ai loro fedeli di rimodellare la città come un libero mercato ed una proprietà privata che accolga i ricchi ed i turisti. Con miliardi di dollari dei contribuenti resi disponibili per la "ricostruzione", il disastro portato dall'Uragano Katrina è la cortina fumogena per imborghesire New Orleans e far depredare le risorse pubbliche da parte delle aziende. Per preservare la tradizione afro-americana, si dovrebbe permettere agli afro-americani di partecipare in prima linea alla ricostruzione e allo sviluppo economico di New Orleans. La storia unica della città e la sua tradizione culturale dovrebbero ispirare una nuova invenzione urbana e la sostenibilità economica, non l'ideologia neo-liberale che ha dimostrato di favorire gli interessi dei ricchi e potenti. Inoltre, come risultato della totale negligenza delle autorità, le persone con un basso reddito di New Orleans stanno sperimentando "una quasi epidemia e di depressione e disordine da stress post-traumatico". Il tasso di suicidio in una città dalla vivace tradizione afro-americana "era meno di nove all'anno per 100.000 residenti prima di Katrina, ed è aumentato ad un tasso annuo di oltre 26 ogni 100.000 nei mesi successivi", ha riportato il Times. Il tasso di criminalità è aumentato drammaticamente. "Pensai di poter superare la tempesta e l'ho fatto – sono le conseguenze che mi stanno uccidendo", ha detto al Times Gina Barbe, una residente di New Orleans. La risposta da parte delle autorità è stata di impiegare le truppe della Guardia Nazionale per pattugliare le strade di New Orleans, pretendendo di guarire la malattia economica e sociale che hanno creato.

"Abbiamo finalmente ripulito New Orleans dagli alloggi pubblici. Noi non potevamo farlo, ma Dio sì", Richard Baker, Repubblicano, 9 settembre 2005