19 agosto 2006

Hina

(foto: incisione di Francisco Goya, "Il sonno della ragione genera mostri")

Non so quanti abbiano notato un dettaglio che stona in maniera straordinaria [*1]. La ragazza lavorava in un locale pubblico. Cioè in un ristorante indiano. Non so a chi appartenga quel ristorante, ma c'è una buona probabilità che il proprietario sia di etnia/religione indù. Nella mentalità dei musulmani conservatori, è decisamente vergogna far lavorare le donne di casa. E mica in una fabbrica di tutte donne, ma in un locale pubblico, dove la gente beve alcolici e avventori maschi possono fare commenti sulle cameriere. Aggiungiamo che il proprietario, se è davvero indù (ma è solo una mia ipotesi), non sarebbe certamente il migliore custode della ragazza. A quanto mi è dato capire, la giovane Hina andava al lavoro, e anche altrove, senza alcun foulard e persino in minigonna, con tanto di ombelico scoperto e cellulare per chiamare gli amici. E con sufficiente tempo libero per frequentare un fidanzato italiano; anzi, a quanto pare, viveva per metà a casa del fidanzato, per metà a casa dei genitori. Date le distanze psicologiche che separano i luoghi del benessere dai luoghi della miseria, dobbiamo cercare un parallelo lontano: è un po' come se il padre di una famiglia italiana trovasse normale mandare la figlia a fare la cubista in topless tutta la notte alla discoteca Ekstasy di Rimini, ovviamente impossessandosi la mattina dopo dei soldi che la fanciulla si è guadagnata. Qualcuno direbbe che quel padre è un autentico liberale, qualcun altro che è un magnaccia, ma nessuno direbbe che è un bigotto o un fanatico religioso. Insomma, mi pare evidente che papà Saleem se ne sia fregato altamente del comportamento della figlia, finché portava i soldi in casa, e finché la faccenda fosse nota solo a Brescia. Poi però i nodi arrivano al pettine. E qui mi viene in mente un mio conoscente italiano (tra l'altro, militante di estrema sinistra) che anni fa era in trattative per comprarsi moglie in Tailandia: i fratelli della ragazza giuravano e spergiuravano che fosse vergine, cosa che permetteva loro di chiedere un prezzo particolarmente alto (no, non so come sia andato a finire questo caso particolare di economia globale). Evidentemente, il padre di Hina aveva in piedi un traffico simile con qualche ignaro cugino in Pakistan, anche se per motivi piuttosto diversi, come vedremo. E forse era un traffico da concludersi con una certa urgenza, visto che la fanciulla aveva ormai raggiunto la venerabile età di ventun anni. Il problema non era la vita dissoluta che conduceva la ragazza - almeno secondo gli standard del paese da cui proveniva la famiglia - , ma il fatto che lei avesse annunciato di essersi fidanzata, e quindi di non essere più trasferibile al promesso cugino. A quel punto, il nostro bresciano adottivo ha dovuto dimostrare al proprio parente di essere uomo di parola, che mantiene gli impegni di casta (e non semplicemente di famiglia). Alcuni giornalisti un po' più onesti della media [*2] hanno infatti sottolineato come il delitto sia da mettere in relazione con il sistema castale indiano. Ricordiamo che il Pakistan è storicamente parte dell'India, dove il sistema delle caste ha finito per assorbire [*3] anche una religione profondamente egalitaria (almeno in principio) come l'Islam: i quattro "colori" (varna) della gerarchia induista si ritrovano, in forma appena attenuata, nei villaggi islamici. Nel sistema indiano, è la legge della "nascita" - jati in sanscrito, zat in urdu - e la gestione dei matrimoni all'interno di tali gruppi che permette la formazione di gruppi sociali compatti e solidali, in grado di permettere la sopravvivenza in un mondo senza previdenza sociale, dove l'emarginazione significava la morte ai tempi della miseria, e significa la morte ai tempi della privatizzazione e del liberismo. Il padre di Hina, quindi, è un caso orribile ma interessante di hybris da globalizzazione: ha cercato di ottenere il meglio dal sistema "occidentale", mandando la figlia a far soldi in un locale pubblico; e il meglio dal sistema "orientale" sistemandola con un cugino. E ha finito per rovinarsi per sempre in "Oriente" come inaffidabile corruttore della propria famiglia, e in "Occidente" come barbaro assassino.

"La maggior parte della pubblicità non fa tanto appello alla ragione quanto all'emozione", Erich Fromm

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Questo articolo l'ho già letto qui:

http://kelebek.splinder.com/1155966942#8974644

chi dei due non ha citato la fonte?

Nicolò ha detto...

Mi scuso, dove solitamente metto la fonte ho specificato di che foto si trattava, dimenticandomi di inserire da dove proveniva l'articolo. Grazie per la segnalazione :)

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