(fonte: peacereporter.net - Alessandro Ursic - 04.10.2006)
C’è chi si scusa per quello che ha fatto, e chi fino all’ultimo professa la sua innocenza. Chi rivolge un’ultima richiesta di perdono ai parenti della vittima, e chi sfida quelli presenti nella camera di esecuzione. Chi dedica le sue ultime parole a genitori, moglie e figli, e chi chiede misericordia a Dio. Chi sostiene di aver trovato la pace, e chi denuncia il malfunzionamento del sistema giudiziario. Storie diverse, di persone diverse, in tempi diversi, ma che arrivano tutte allo stesso appuntamento: quello con il boia, nel caso del Texas rappresentato dalla siringa dell’iniezione letale.
Spoon River online. Dal 1976, lo stato governato per cinque anni da George W. Bush ha eseguito 376 condanne a morte, oltre un terzo del totale negli Stati Uniti. Sul sito del dipartimento alla Giustizia texano c’è tutto: date, foto, cause della sentenza, informazioni personali dei condannati. Comprese le loro ultime parole, a comporre una gigantesca Spoon River online. Dead man talking. Ne emerge uno spaccato dell’America nel braccio della morte, con qualche dato che può apparire sorprendente. Se molti pensano che negli Usa i giustiziati siano in maggioranza afro-americani, nel Texas il 49 percento è bianco, il 36 percento nero e il 15 percento ispanico.
Chi protesta. Da neri e ispanici arrivano più spesso parole di ribellione. Contro la società, contro il sistema giudiziario “Continuate a marciare, fratelli neri. Stanotte mi uccidono”, disse Bobby Grant nel 2000. “La gente mi chiama un killer a sangue freddo, ma ho ucciso un uomo che ha sparato a me per primo. L’unica cosa che mi ha fatto condannare è il fatto che io sia un messicano, e lui un poliziotto. La vita di un messicano non vale niente”, accusò Henry Porter nel lontano 1985. O Gerald Tigner, un afro-americano giustiziato nel marzo 2002: “Sono stato condannato erroneamente per questo omicidio, in base a una confessione falsa perché non l’ho mai rilasciata, ma il mio avvocato non ha detto questo alla giuria”, furono le sue ultime parole.
Il pentimento. In molti casi emerge però una riflessione. Non a caso, dato che tra la condanna e il giorno dell’esecuzione passano anche fino a dieci anni. Per alcuni, questo periodo rappresenta quasi un supplizio aggiuntivo. “Per nove anni ho pensato alla pena di morte, se è giusta o sbagliata, e ancora non so darmi una risposta. Ma non credo che il mondo sarà più sicuro senza di me – disse Jeffery Doughty, il 16 agosto 2001 –. Se aveste voluto punirmi, avreste dovuto uccidermi il giorno dopo. Ora mi state facendo del male, ho avuto il tempo di prepararmi, di salutare la mia famiglia”. Un’accusa alla pena capitale venne anche da Napoleon Beazley, ucciso nel maggio 2002: “Quello che sta per succedere mi rattrista. E sono anche deluso da un sistema che dovrebbe proteggere e sostenere ciò che è giusto, e invece sta per fare quello che ho fatto io con il mio vergognoso sbaglio. Questa sera, diciamo al mondo che la giustizia non dà una seconda possibilità. Diciamo ai nostri figli che, in alcuni casi, uccidere è giusto. Questa sera, non vince nessuno”.
"La vita è una cella un po' fuori dell'ordinario, più uno è povero più si restringono i metri quadrati a sua disposizione", Vasco Pratolini
2 commenti:
queste le condanne a morte portate a termine nel 2005:
Cina: almeno 5.000
Iran: almeno 113
Arabia Saudita: almeno 90
Corea del Nord: almeno 75
Stati Uniti: 60
etc. etc......
Come si possono definire gli USA come un paese democratico e civile? Io penso che un paese quello abbia bisogno solo di una istruzione minima e meno tv e ogm. Sono pieni di armi anche nucleari, ammazzano legalmente tantissime persone e sono i maggiori responsabili delle catastrofi naturali e di tutte le conseguenze dell'inquinamento n genere.
Mi fa tanto piacere leggere i tuoi post, e ogni volta non posso esimermi dal commentarli. Ciao e a presto.
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