E' reato la coltivazione di piante di canapa indiana: va incontro ad una condanna chi ne possiede anche una sola. Lo ha sancito la Cassazione, confermando la condanna, inflitta dalla corte d'appello di Messina ad una donna, che aveva coltivato nel balcone della sua casa 8 piantine della specie 'cannabis indica', il cui principio attivo avrebbe consentito di ricavare un numero di dosi compreso tra 28 e 43. La donna aveva presentato ricorso in Cassazione lamentando l'erronea applicazione del dpr 309/1990, con riferimento alla ritenuta rilevanza penale della condotta contestata di coltivazione domestica di un esiguo numero di piantine di canapa indiana, destinata al consumo personale. Per la Suprema corte (quarta sezione penale, sentenza numero 871) il ricorso va respinto: "la giurisprudenza costante, pur con alcune perplessita' della dottrina, ha ritenuto che la coltivazione non autorizzata di piante - osservano gli alti giudici - dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti o psicotrope, costituisce un reato di pericolo presunto o astratto, essendo punito 'ex se' il fatto della coltivazione, senza che per l'integrazione del reato sia necessario individuare l'effettivo grado di tossicita' della pianta e senza che occorra fare riferimento alcuno alla sostanza stupefacente che da essa si puo' trarre e che puo' dipendere da circostanze contingenti, connesse alla sua crescita, al suo sviluppo ed alla sua maturazione". Per la Cassazione, la figura criminosa "e' costruita come reato di pericolo, la cui sussistenza va quindi affermata ogni qualvolta venga coltivata anche una sola piantina vitale e idonea a produrre sostanza stupefacente, appartenente ad una delle specie vietate, indipendentemente dalla percentuale di sostanza pura o di principio attivo presente nelle infiorescenze e nelle foglie".Non ho la minima idea di cosa sia un reato di pericolo astratto. Forse wikipedia e Philip K. Dick possono venirmi in aiuto. Fatta questa doverosa premessa, mi pare giusto aprire una parentesi su quello che è il traffico di droga oggi. Nel giugno 1998, l’ONU annunciò una strategia di 10 anni per ottenere "risultati misurabili" nella lotta contro le droghe, compresa una "riduzione significativa" della coltivazione di cannabis, coca e papavero da oppio per l’anno 2008. Il 10 marzo 2008, la Commissione sugli Stupefacenti dell’ONU si incontrerà a Vienna per rivedere i risultati di questa strategia. Inutile dire che questo nuovo meeting dimostra quanto questa guerra alle droghe sia stata fallimentare su tutta la linea. Milioni di persone, proprio come la signora dell'articolo in apertura, sono criminalizzate, miliardi di euro sono spesi in una guerra inefficace e improduttiva. Nel frattempo, il mercato delle droghe rimane nelle mani della criminalità organizzata, i cui enormi guadagni generano corruzione diffusa e alimentano tutta una serie di attività nocive per la società. Se quindi, da un punto di vista sociale la droga è rimasta comunque una piaga [*2], c'è stato un parallelo arricchimento da parte delle organizzazioni criminali, aiutate anche dalle campagne militari di "esportazione di democrazia" dei membri dell'ONU stessi, che hanno trasformato interi paesi [*Oppio e Afghanistan] in campi per coltivare oppiacei. Dal proibizionismo dell’alcol negli anni Venti a quello attuale delle droghe assistiamo alla replica di un copione: i gruppi criminali diventano soggetti economico-finanziari di prim’ordine con tutto quello che ciò comporta come ruolo socio-politico che interagiscono, se non si identificano e convivono, con ambienti di potere. In sostanza oltre a non arrestare il consumo, il proibizionismo favorisce addirittura l'illegalità, in quanto permette alle organizzazioni criminali, che grazie a leggi liberticide posseggono il monopolio del mercato, di fare il prezzo della "risorsa scarsa". Giusto per farsi un'idea, ecco le stime del volume d’affari annuale del narcotraffico: Secondo il National Intelligence Council, sarebbe tra i 100 e i 300 miliardi di dollari, le Nazioni Unite parlano di 400 miliardi e la Banca mondiale di 1000 miliardi. L’attività più remunerativa per la mafia: il traffico di armi sarebbe al secondo posto con 290 miliardi di dollari, seguirebbero a notevole distanza il traffico di rifiuti tossici (10-12 miliardi) e la tratta di esseri umani (cfr. Alessandro Politi Traffici illeciti per mille miliardi di dollari, in «Il Sole-24 ore», 26 novembre 2001).
Per fare un altro rapido confronto, tornando indietro nel tempo, gli effetti più significativi del proibizionismo degli alcolici, introdotto negli Stati Uniti con il Volstead Act del 1920 e durato fino al 1933, furono l’inosservanza della legge e quindi un’illegalità diffusa, l’esposizione a rischio dei consumatori, il salto di qualità (grazie agli enormi introiti) dei gruppi criminali e l’incremento della corruzione dei pubblici ufficiali, dai poliziotti ai magistrati e ai politici. Il proibizionismo sembra quindi essere il vettore di un cancro che si estende alle istituzioni stesse che (almeno in teoria) si prefiggono di combattere la criminalità. Tant'è che anche oggi abbiamo diverse testimonianze che documentano questa collusione, James Casbolt, ex agente MI-6 ha da tempo affermato che il commercio globale della droga è controllato dalle stesse agenzie di spionaggio [*MI6 Are The Lords of the Global Drug Trade - *Traduzione]. Alla luce dei fatti liberalizzare le droghe significa quindi esclusivamente togliere il monopolio della mafia, collusa con gli Stati, sul narcotraffico, azzerando le entrate delle varie organizzazioni criminali.
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