[*1] Consumi in frenata a gennaio: l'indicatore di Confcommercio segnala per il terzo mese consecutivo una flessione dell'1,1 per cento rispetto a gennaio 2006. Si tratta non solo del dato peggiore degli ultimi tre anni, ma anche della maggior variazione negativa dopo il meno 0,9 per cento di novembre e lo 0,8 per cento di dicembre. "La debolezza della domanda per consumi da parte delle famiglie, accentuatasi nei periodi più recenti - spiegano alla Confcommercio - sta condizionando le dinamiche produttive interne. A dicembre la produzione industriale ha subito, per il quarto mese consecutivo, una riduzione in termini congiunturali (-0,5 per cento e -1,4 per i beni di consumo). Nello stesso mese gli ordinativi hanno registrato una flessione del 5,4 per cento rispetto a novembre. Il dato di gennaio sui consumi - spiega ancora Confcommercio - riflette una evoluzione negativa nella domanda dei beni (-2,5 per cento) a cui si contrappone una crescita per i servizi (+2,1 per cento). Per quanto riguarda i prezzi del paniere di beni e servizi considerati dall'indice nel mese di gennaio il protrarsi delle tensioni sui beni alimentari e energetici ha determinato una ulteriore accelerazione soprattutto per la componete relativa ai beni (+3,1 per cento), mentre per i servizi la crescita risulta molto più contenuta (+1,1 per cento)".
Brevemente, i prezzi vanno sempre più su e consumi sempre più giù. Il dati, in barba al PIL e altri indicatori economici, non fanno altro che fotografare le difficoltà delle famiglie italiane e del consumatore medio, alle prese con tasse, balzelli, aumenti fuori controllo in negozi, mercati e supermercati ma anche aumenti delle bollette della luce, del gas oltre a quelli dei carburanti. D'altronde il PIL tratta tutte le transazioni come positive e non fa quindi distinzione tra le attività che contribuiscono al benessere e quelle che lo diminuiscono (ad esempio, se improvvisamente non ci fossero più incidenti stradali il PIL calerebbe in modo sensibile mentre il benessere e la felicità delle persone aumenterebbe notevolmente). In sostanza è un dato che cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari... tant'è che il PIL della Germania nazista tra il '33 e il '36 toccò tassi di crescita del 10% circa [*2]. Allo stesso tempo, nonostante questo indicatore premi un'economia di guerra, trascura ciò che accade al di fuori del regno degli scambi monetari e quindi non tiene conto dei costi sociali e ambientali, compreso l'uranio impoverito proveniente dai Balcani che svolazza beato sopra l'Adriatico, ma anzi, li calcola addirittura come valori. Sempre di più, quindi, ci si convince che il PIL sia incapace di misurare il benessere collettivo nazionale, e quindi diremmo la “felicità” di un popolo, poiché si limita a considerare unicamente le voci positive del reddito e delle cifre numeriche che esso esprime. In particolare il PIL non misura la ricchezza prodotta, ma il consumo della stessa, premiando quindi gli Stati che sono più "assetati" di risorse. Ma soprattutto premia i sistemi in cui il consumo viene stimolato (in maniera del tutto artificiale e controproducente) quei paesi che stampano denaro per stimolare la propria economia [*3] (proprio come avveniva nella Germania nazista [*4]). Gli stessi attentati terroristici fanno crescere la ricchezza nazionale del Paese colpito dal momento in cui vi sono flussi monetari, che quindi saranno registrati positivamente nelle contabilità nazionali e nel prodotto interno lordo. Quindi quando qualcuno vi parla di un "grande patto con le forze sociali per la crescita del Pil e della ricchezza nazionale che poi deve essere equamente distribuita" [*5] vi sta insindacabilmente prendendo per il culo.
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