18 novembre 2009

La guerra dell'acqua


Report - Con l'acqua alla gola - 15/10/2006

Rivoluzioni. Potentati economici, bene comune ed efficienza nel servizio: tre nodi che il decreto del governo non affronta di Carlo Lottieri
C’è una vera ossessione della sinistra italiana. Alcune settimane fa, sul Corriere della Sera, la scrittrice Dacia Maraini - che solitamente non si occupa di servizi “in rete” - ha portato un durissimo attacco al governo Berlusconi, accusato di sottrarre un bene tanto primario come l’acqua al suo legittimo proprietario, il popolo. Toni perfino più accessi ha usato uno dei campioni della sinistra no-global, padre Alex Zanotelli, che quando parla di questo tema sembra davvero perdere la testa. In una lettera sempre al Corriere, il padre comboniano ha chiesto il massimo dell’impegno di «tutti, al di là di fedi o di ideologie, perché “sorella acqua”, fonte della vita, venga riconosciuta come diritto fondamentale umano e non sottoposta alla legge del mercato». Amen.

In realtà, purtroppo sta succedendo ben poco su questo delicato tema, e quindi non c’è davvero ragione di scaldarsi in questa maniera. Il progetto governativo firmato da Fitto e Calderoli non prevede alcuna privatizzazione dell’acqua - il che vorrebbe dire, ovviamente, dei sistemi di gestione e distribuzione - e non è in alcun senso rivoluzionario. Ma è di questo che bisognerebbe lamentarsi. Come qualunque altro servizio, la distribuzione dell’acqua può essere meglio realizzata quando si abbandonano le logiche di monopolio e si entra in un quadro competitivo. Nella Sicilia di oggi l’acqua sarà anche pubblica, cioè gestita da enti in un modo o nell’altro controllati da burocrati e uomini di partito, ma questo non impedisce alla rete di essere un colabrodo. Perché in tali ambiti si possa avere un vero mercato bisognerà fare molti passi: e se nel 2008 qualcosa si è iniziato a fare con la legge 133, il cammino è ancora lungo. Basti pensare al problema dei prezzi e al fatto che le tariffe sono decise dagli Ato, che sono in sostanza soggetti politici, cui è affidato il compito di regolare la gestione dell’acqua e che hanno quindi anche il compito di determinare i costi che devono gravare sui cittadini. Un’autentica privatizzazione e liberalizzazione dell’acqua, insomma, è ancora lontana: e non in primo luogo per ragioni tecniche, ma per le fortissime resistenze che l’idea incontra.

Per giunta, quello di cui si discute in Italia è solo se la gestione di acquedotti e reti debba essere lasciata in mano ai monopolisti attuali oppure se essa debba essere affidata tramite gara. Si tratta insomma di vedere se quello che c’è oggi va bene (come sembrano dirci i difensori dello status quo), oppure se non vi siano imprese disposte a farsi avanti per proporre una gestione dell’acqua potabile e delle fognature con standard qualitativi più alti e prezzi inferiori. Il contrasto è essenzialmente culturale, ma rinvia a enormi resistenze, dato che se davvero ci si aprisse, anche timidamente, al mercato si finirebbe per mettere in discussione una serie di situazioni cristallizzate. L’acqua di Stato garantisce ai politici un bel numero di posti nei consigli d’amministrazione, insieme a notevoli opportunità di clientelismo. Senza dimenticare ciò che è già successo, negli anni scorsi, ossia che la costituzione degli Ato abbia finito per espropriare della loro autonomia decisionale una serie di realtà, anche molto piccole, che si erano attrezzate per amministrare in maniera autonoma la gestione dell’acqua.

In verità, e una volta di più, ci si trova schiacciati tra un ideologismo vetero-collettivista che giunge a definire l’acqua un “diritto umano” (cosa vuol dire? serve a far gestire meglio le reti idriche? aiuta ad assicurare che i costi non saranno esorbitanti?) e la furbizia di chi vuole aprire il mercato, ma solo in parte, perché ha già i propri progetti e intende cogliere in tal modo la facile opportunità di costruire una rendita: usando il privato per fare i profitti e la regolazione pubblica per evitare la competizione. Padre Zanotelli e Dacia Maraini possono evitare di agitarsi: in un modo o nell’altro, l’acqua resterà gestita dal grande Soviet di Stato e da tutte le sue articolazioni. Al massimo vedremo apparire qualche “oligarca” locale che si appoggerà al Pubblico per realizzare, alle solite, privatissimi guadagni. C’è anche chi, nella Puglia di NichiVendola, sta pensando di tornare all’antico: rimunicipalizzando l’importante acquedotto regionale, che era stato trasformato in una società per azioni. Quanti amano l’acqua di Stato, insomma, possono dormire sonni tranquilli.

Quelli che però dovrebbero preoccuparsi sono i cittadini, dal momento che in tal modo è difficile che si possano avere investimenti, ristrutturazioni e l’adozione di migliori tecnologie, e che quindi insomma si possa avere una qualità migliore a un prezzo più basso. In questa situazione, la cosa probabile è che molti rubinetti, anche la prossima estate, continueranno a restare del tutto asciutti.

Da Liberal, 17 novembre 2009 (via the diamond age)

0 commenti:

Posta un commento