Dopo aver copiato in tutto e per tutto le elezioni americane - dal "format" dei dibattiti televisivi al loro vuoto di contenuto, dal finale-suspense, con capovolgimento degli exit-poll, fino al riconteggio manuale dei voti - siamo riusciti a rovinare la pantomima dimenticandoci proprio della parte più importante: la scena finale.Mentre Al Gore, al momento dell'annuncio della Corte Suprema, aveva saputo stringere i denti, e andare in televisione a dire: "la battaglia è finita. Non concordo con il risultato, ma lo accetto", il nostro elegante Premier sta facendo davanti al mondo la figura di un bambino di sei anni che non vuole saperne di uscire dal parco giochi dove si stava divertendo un mondo. Ma non è lui il vero problema. Con l'invito a non illudersi che con il recalcitrante adolescente se ne possano andare anche tutti i mali che affliggono il nostro paese, ripubblichiamo un vecchio articolo, che risale all'estate del 2004. Quando Berlusconi se ne sarà andato (prima o poi dovrà ben succedere), l'Italia inizierà a rendersi conto del disastro imperdonabile che quest'uomo, con la sua politica - ma soprattutto col suo modo di pensare - ha portato in ogni angolo del nostro paese, in ogni angolo delle nostre istituzioni, in ogni angolo delle nostre anime. Che l'Italia non abbia mai avuto governi effettivi, non si discute nemmeno. Ma una cosa erano i governi di facciata, infinite versioni dell'eterno immobilismo democristiano, tanto inefficaci rispetto al progresso, quanto innocui rispetto al nostro quotidiano. Un'altra è Berlusconi, tanto efficace rispetto al più totale regresso, quando deleterio rispetto alla comune scala di valori che noi tutti dovremmo preservare, se vogliamo vivere piacevolmente l'uno accanto all'altro. Quando invece ciò che era brutto diventa "bello" per circolare ministeriale, ciò che era ingiusto diventa "giusto" per decreto legge, ciò che era proibito diventa "legale" per palese violazione costituzionale, non solo quei valori vanno a farsi benedire, ma le stesse istituzioni perdono valore agli occhi del cittadino, ed alimentano una spirale verso il basso di cui ormai non è difficile intravvedere la conclusione. La "legge del Far West" si chiamava così proprio perchè legge non era: il più forte decretava i propri valori e la propria giustizia, e li imponeva poi a tutti gli altri. Ma perchè noi permettiamo che tutto ciò accada? Saremo forse un popolo di menefreghisti, che si preoccupano ciascuno del proprio orto e basta, ma stupidi non lo siamo, e ciechi nemmeno. E che i danni di cui già soffrono in molti oggi verranno prima o poi a detrimento di tutti, dovremmo arrivare a comprenderlo senza tanta fatica. Che cosa può averci mai intontito, al punto da non preoccuparci più nemmeno di difendere quei valori a cui dovremmo tenere sopra ogni altra cosa? Sono stati i mezzi di informazione. E' li che l'erosione dei valori è iniziata, già nei primi anni '80, con le TV locali di un imprenditore edile che sognava di "arrivare in tutte le case d'Italia". Oggi lo abbiamo capito fin troppo bene, perchè volesse arrivarci. E fu da quel giorno che i nostri valori fondamentali - quei parametri di riferimento, belli o brutti che siano, che tengono insieme una qualunque struttura siociale - hanno cominciato a sgretolarsi di fronte alla valanga inarrestabile di tette, goal e formaggini che ci veniva propinata ad ogni ora, e che sembra ormai in grado di nutrirsi da sola. Magari non particolarmente colto, ma di certo non stupido, l'uomo delle TV ha poi pensato di mettere sotto controllo anche la carta stampata, per non avere più nessuna fonte da cui potesse nascere un reale contraddittorio. E con le dimissioni dell'ultimo direttore del Corriere, avvenute più di un anno e mezzo fa, la partita si è chiusa senza possibilità di rivincita. Nel panorama nazionale resta solo un'isola, rossa ormai forse più di rabbia che di effettiva valenza politica. Per quel che riguarda la stragrande maggioranza degli italiani - tutti quelli che ancora non fanno uso di Internet - siamo quindi da tempo disinformati in maniera univoca da uno squadrone compatto di TV e quotidiani, che fanno capo a chi vende all'Italia tutto quello che ha da comperare, e che nel frattempo ne guida anche il governo. Forse in fondo aveva ragione lui: il conflitto di interessi in realtà non c'è, o comunque oggi non c'è più. Ammettiamolo, è stata un'operazione grandiosa e lungimirante, di fronte alla quale non si può non levare tanto di cappello. Ma è anche un'operazione che sarebbe stata impossibile senza la complicità di un elemento indispensabile: i giornalisti. Sono loro i krumiri delle nostre libertà. Ricattabile direttamente alla radice - il posto stesso di lavoro - il giornalista infatti ha progressivamente accettato di far parte di un gioco che non può, assolutamente, non aver riconosciuto prima o poi lungo la strada: nel momento infatti in cui inizi a modificare la tua voce, per compiacere chi ti paga, non puoi che farlo in modo cosciente e razionale. Diciamoci subito una cosa, a scanso di perdite di tempo: il giornalista "sa". Rispetto a quello che accade dietro le quinte, egli "sa" quale sia, almeno a grandi linee, la vera verità. Egli sa benissimo, ad esempio, che non può essere stato uno sceicco annoiato a buttare giù le torri di New York, solo per fare un dispetto alla felicità dell'occidente. E se per caso non lo sapesse, ha il sacrosanto dovere di informarsi fino in fondo: il mezzo per farlo oggi c'è, e si chiama Internet. E' un mare vasto ed infido, non si discute, ma per chi vuole davvero trovarli, gli approdi giusti sono tutti raggiungibili. Se bene o male riusciamo ad arrivarci noi comuni cittadini, che lottiamo quotidianamente per non affogare nel mare di bugie che ci circonda, il giornalista non può non arrivarci in tempi e modi almeno pari ai nostri. Ma evidentemente, al di là dei motivi di ciascuno, egli sceglie invece di tacere o preferisce non sapere. E così, piano piano, abbiamo accettato che dei disperati senza nemmeno la licenza per un Cessna scorrazzino per ore con dei Boeing nei cieli della difesa più impenetrabile del mondo. Che i palestinesi, gli afghani, gli iracheni, ed ormai chiunque si metta per un momento un tovagliolo in testa, siano soltanto "terroristi" che aspettano impazienti di morire per Allah. Che quindi l'Islam sia una religione violenta e vada estirpata ad ogni costo. Che Sharon possa travolgere vite e villaggi altrui a piacimento, perchè tanto lui sta dalla parte dei buoni. Che fondamentali scelte che riguardano l'ambiente, la salute, e la stessa vita in comune, debbano sottostare a criteri puramente economici, sotto la falsa pretesa che guidare uno stato equivalga a condurre una fabbrica di pomodori. Che guerra si dice missione umanitaria, che libero mercato si dice democrazia, che invadere si dice aiutare, che eccetera eccetera eccetera. Senza nemmeno accorgercene, stiamo accettando che il brutto è bello, l'ingiusto è giusto, l'illegale è legale. Ma mentre gli ingredienti, in quel minestrone di valori odierno, li butta il politico di turno, chi gira il mestolo - come dicevamo - è sempre il giornalista. Senza di lui, la cena non può comunque essere servita.Viene allora legittimo porre una domanda: è davvero così ingiusto chiedere a ciascuno di loro - individualmente, come singoli - di rischiare apertamente il proprio pane, pur di non contribuire più a questo crimine ideologico? Sia ben chiaro, non gli si chiede di lottare coi mulini a vento per far passare notizie sgradite alla direzione. Il diritto alla linea editoriale esiste da sempre, e rimane sacrosanto. Gli si chiede solo di non scrivere ciò che sappia essere, con relativa certezza, una bugia. Nient'altro. Se sei convinto, ad esempio, che non sia stato bin Laden a buttare giù le torri (ed hai fondati motivi per crederlo), rifiutati di firmare articoli in cui ciò sia invece dato per scontato, per implicito, per sotteso, onde evitare di diventare tustesso complice della più grossa menzogna della storia umana. Piuttosto scrivili, se proprio devi, ma offri al tuo direttore di firmarli lui stesso. Perchè dovrebbe rifiutarsi, dopotutto? "Certo - sento già dire - se lo facessero tutti, sarei io il primo..." E bravo, grazie! Anch'io in quel caso sarei il primo, cosa ci vuole? Anzi, sarei proprio un fetente a non farlo, a quel punto. Ma tu lo sai e io lo so che una cosa del genere, come "categoria", non avverrà mai: ed è proprio su questo che conta chi ti paga per mentire! C'è poi l'altra obiezione: ma tanto, se non li scrivo io, quegli articoli li scriverà qualcun altro. Ebbene: che differenza c'è, fra il giornalista che risponde così, ed il krumiro che va in fabbrica, giustificandosi con un "tanto se non vado io, prendono qualcun altro al mio posto?" E' da solo che devi fare quella scelta. Tu, di fronte alla tua coscienza di uomo, conscio delle responsabilità che ti sei assunto verso i tuoi simili, nel momento in cui hai scelto di fare quel mestiere e non un altro. E senza stare a guardare cosa fa il collega accanto, nè aspettare che altri si muovano per te, sperando magari di ritrovarti la pappa pronta. Non esiste un "luogo deputato" - un partito, una corporazione, quello che vuoi tu - a cui fare riferimento per iniziare questa rivoluzione. Questa è una rivoluzione di valori, non di entità fisiche, e come tale non può che avvenire all'interno di ciascuno di noi. Anche se magari ti costa il pane, o anche solo ti obbliga per un pò a quello di crusca.
Massimo Mazzucco"Ecco la fiera con la coda aguzza, / che passa i monti, e rompe i muri e l'armi! / Ecco colei che tutto 'l mondo appuzza!", (Divina Commedia, Inferno, Canto XVII, 1-3)
2 commenti:
Mi sembrava strano che tu non leggessi LUOGOCOMUNE..
:))
Beppe a.k.a. bunter24
Forse non saremo mai noi a mandarlo a casa, ma solo i suoi "simili", e allora è importante come non mai il referndum di giugno, che grazie al nostro voto può portare ad una rottura nella coalizione di centrodestra.
Ciao!
In gamba!
soprattutto in vista di ...giugno!
Inopera!
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