(fonte: Utopie Concrete.it)
Intervista a Stephan Kohler direttore dell’Agenzia Energetica Tedesca
Ing. Kohler, che cosa fa l’agenzia energetica tedesca?
L’agenzia energetica tedesca è il centro di competenza per l’efficienza energetica e per lo sviluppo delle energie rinnovabili. Sviluppiamo e realizziamo per il governo tedesco strategie e progetti per un’economia energetica sostenibile sul mercato tedesco nazionale ma anche europeo e internazionale.
Chernobyl, lei è mai stato lì?
Sì. L’incidente del reattore fu il 26 aprile 1986, io ci sono stato nell’ottobre del 1988, quindi un anno e mezzo dopo.
Lei che direbbe 20 anni dopo? Con i suoi studi come direttore del settore energia del famoso Eco Istituto di Freiburg, lei ha contribuito in modo sostanziale a un discorso anti-nucleare in Germania che poi ha trovato una sua realizzazione politica nella decisione del governo tedesco precedente di uscire entro l’anno 2021 dalla produzione di energia elettrica con il nucleare. Oggi qual è la sua valutazione? Si trattava di un incidente singolare che oggi più che altro commemoriamo come un evento tragico del passato?
Chernobyl ha rappresentato una cesura nello sviluppo dell’energia nucleare non solo in Russia ma a livello globale. Da quel momento in poi abbiamo assistito ad una discesa dell’energia nucleare e quello che viene sempre ipotizzato, il rinascimento dell’energia nucleare, tutt’oggi non è riconoscibile. Si discute molto di nuovi progetti, ma di fatto si costruiscono poche centrali nucleari. Direi che Chernobyl non è stato un caso unico, ma se si dovessero costruire davvero a livello globale nuove centrali nucleari per coprire una parte sostanziale del fabbisogno con questa fonte ci saranno altri incidenti. Questi incidenti sicuramente saranno diversi nel loro carattere tecnico-fisico visto che ci sono molti percorsi che potrebbero portare ad un’immissione massiccia di sostanze nucleari nell’ambiente. Inoltre va ricordato che ci sono stati molti altri incidenti. Nell’occidente tutti parlano di Chernobyl, ma nell’ex Unione Sovietica ci sono molti luoghi altamente inquinati da radiazioni nucleari come per esempio Chelyabinsk. Facilmente si dimentica che anche nell’occidente ci sono stati incidenti con centrali nucleari come per esempio Harrisburg dove abbiamo avuto fortuna. A livello mondiale ci sono stati molti più incidenti nelle centrali nucleari di quanti siano stati percepiti dal pubblico.
Secondo lei che cosa hanno in mente quelli che parlano a favore dell’energia nucleare? Tra loro, mi sembra, in Germania c’è l’attuale Ministro all’Economia, in Italia ci sono delle voci forti anche presentandosi come sensibili alle questioni climatiche. Agiscono in buona fede o come dobbiamo capire questi interventi a favore dell’energia nucleare?
Certo che quelli che parlano a favore dell’energia nucleare a volte sono motivati anche da interessi economici ma non si può limitare a ciò. Ci sono molti che sono convinti che l’energia nucleare sia necessaria per soddisfare un fabbisogno energetico in forte crescita a livello globale, e consapevoli dei problemi del clima, identificano l’energia nucleare come l’unica strada d’uscita. Quello che manca in questa prospettiva, spesso anche per mancanza di conoscenze, è che le vere risposte stanno sul lato dell’efficienza energetica e della gestione della domanda. A parità di servizi, possiamo ridurre notevolmente la quantità di energia impiegata e sono in forte evoluzione le tecnologie per trasformare l’energia primaria in modo sempre più efficiente, dalla cogenerazione alle energie rinnovabili. Ma questo purtroppo è troppo poco presente. Esiste una fissazione sulle grandi tecnologie e sulle grandi opere, invece vengono considerate spiccioli in questa mentalità le innumerevoli possibilità di usare l’energia in modo efficiente, non solo in Germania e Italia, ma anche in Russia e Cina. Finora non siamo stati in grado di creare una consapevolezza, né nelle posizioni apicali, né tra il grande pubblico che “l’efficienza energetica” è una grande fonte di energia, anzi, forse la fonte più importante in assoluto. Quindi il nostro obiettivo deve essere una politica energetica che parte dal lato della domanda dove a lungo termine possiamo garantire un alto livello di benessere a un basso livello di consumo di fonti energetiche primarie.
Come dobbiamo valutare la dipendenza dal gas dalla Russia? O più in generale che cosa si può dire sulla sicurezza energetica?
Abbiamo delle situazioni diverse a seconda dei settori. Nel mercato del calore e del trasporto c’è una grande dipendenza dal petrolio e dal metano, nel settore delle centrali elettriche invece ci sono più possibilità perché si può anche usare il carbone che ha una distribuzione a livello globale molto diversa dal petrolio e dal metano. In particolare, con il petrolio i problemi diventeranno più forti in futuro perché la sua estrazione si concentrerà sempre di più nel Vicino e nel Medio Oriente, con il metano la situazione è un po’ diversa perché grandi riserve esistono in Russia. La Russia finora è stata un partner energetico sicuro anche durante i tempi della guerra fredda. I grandi metanodotti sono stati costruiti 33 anni fa, funzionano da 33 a nni e da 33 anni non c’è mai stato dal lato russo una violazione dei contratti di fornitura. A me pare che si può dire che la Russia è un partner sicuro e rimarrà molto importante per l’Europa. Se guardiamo il prezzo di oggi - e partiamo dall’idea che il prezzo del petrolio e del gas non scenderà sotto i livelli attuali - altre opzioni diventano interessanti come per esempio la liquefazione del metano che rende i metanodotti superflui e facilita il trasporto del gas in navi cisterna, come avviene con il petrolio. Questo creerebbe un’indipendenza maggiore dalla Russia, ma oggi e per i prossimi 10/20 anni tale dipendenza rimane.
Lei ha parlato en passant del carbone e dell’uso del carbone. In quali condizioni lei ne ritiene giustificabile l’impiego come una fonte energetica primaria?
Dobbiamo partire dall’idea che il carbone rimarrà - e lì altra strada non esiste - una fonte energetica importante a livello globale, in Russia, Cina, India e anche nell’America del Sud. Il vantaggio del carbone è la distribuzione geografica e le immense riserve che probabilmente basteranno per i prossimi 300/400 anni, mentre con metano e petrolio stiamo parlando dei prossimi 30/60 anni. Già queste due prospettive fanno una grande differenza che spinge verso l’uso del carbone. Ma per impiegare tale fonte energetica in modo accettabile, anche sotto aspetti climatici, devono essere sviluppate tecniche che permettono la minimizzazione delle emissioni di CO2. Tecniche che oggi esistono per il sequestro e lo stoccaggio del CO2 dai gas di scarico. Andrebbe capito dove e come viene immagazzinato il CO2, personalmente darei una grande priorità allo sviluppo di queste tecniche e sono convinto che queste tecniche saranno dispon ibili a larga scala entro il 2015/2020.
Quindi il sequestro e lo stoccaggio dell’anidride carbonica come strada reale per rendere il carbone accettabile come fonte energetica primaria?
Non solo il carbone, ma parlo anche del metano e del petrolio. E’ vero che le loro emissioni specifiche di CO2 sono più basse del carbone, ma stiamo sempre parlando di un 60/70% di emissioni in paragone al carbone. Quindi si tratta di trovare per tutte le fonti energetiche fossili, metano, petrolio, carbone che vengono utilizzate nelle centrali elettriche, tecniche per estrarre il CO2 e immagazzinarlo.
E questa la ritiene non solo una strada percorribile ma anche una strada sensata? Se ho capito bene, guardando il transito dal fossile al rinnovabile lei vede una tappa intermedia in cui non semplicemente si brucia il meno possibile le fonti fossili e si rafforza al massimo il transito verso il rinnovabile, ma anche una fase di sviluppo tecnologico e di applicazione a larga scala di tecnologie “pulite” per l’utilizzo delle fonti fossili, visto che queste ultime saranno applicate a larga scala per decenni, e nel caso di carbone presumibilmente anche per secoli. Come quindi vorrebbe definire le priorità nel transito dal fossile al rinnovabile?
Dobbiamo realizzare non solo in Europa ma a livello globale una strategia energetica che ha come priorità la mobilitazione e realizzazione dell’efficienza energetica sul lato della domanda. E’ un punto importante che sempre viene dimenticato. Questa strategia energetica può ridurre notevolmente il fabbisogno assoluto di energia. Come secondo punto dobbiamo mobilitare i potenziali delle energie rinnovabili che devono essere adattati alle situazioni territoriali. In Siberia e in Sicilia ci sono potenziali e condizioni climatiche diverse per l’uso delle energie rinnovabili, quindi le tecnologie devono essere adattate alle zone d’impiego. In Siberia dove le centrali eoliche devono funzionare anche a –60° occorrono tecniche specifiche per rendere accessibili e applicabili le energie rinnovabili che devono comunque in generale diventare più efficienti. Però con l’uso delle energie rinnovabili e l’uso razionale dell’energia non possiamo evitare che ancora per decenni dobbiamo anche usare energie fossili perché un transito verso un mondo che funziona al 100% rinnovabile è pensabile per il 2100 o più probabilmente per l’anno 2150. Fino a questo momento utilizzeremo le fonti energetiche fossili e visto che abbiamo un problema del clima dobbiamo far sì che la trasformazione delle fonti energetiche fossili in energia utilizzabile, deve essere più efficiente e con meno emissioni possibili. Se nascono delle emissioni di gas serra devono essere estratte e immagazzinate in un luogo sicuro, causa problemi climatici. Questa è una strategia che dal mio punto di vista è ragionevole e per parlare delle dimensioni quantitative partiamo dall’idea che nell’anno 2050, se promuoviamo una strategia molto ambiziosa di efficienza energetica e di energie rinnovabili, un 50% del rifornimento energetico sarà ancora da fonti fossili. Ma questo è già un obiettivo molto ambizioso.
Lei ha contribuito in modo sostanziale al discorso energetico degli Anni ’80 quando è stato in Germania co-autore dell’idea della “svolta energetica”. Oggi, 25 anni dopo, qual è la differenza più importante fra il di rettore del settore energia dell’Eco Istituto del 1980 e il direttore dell’Agenzia energetica federale del 2006?
Abbiamo oggi una discussione politica molto diversa. Nel 1975/80, quando è stato fondato l’Eco Istituto, il dibattito su una strategia ecologica per la politica energetica era una posizione assolutamente minoritaria, era terreno nuovo da demarcare. Sia in Germania che in altri paesi si partiva dall’idea di una crescita annuale di consumo energetico del 7%, il che significava che ogni 10 anni ci sarebbe stato un raddoppiamento. C’era un’euforia della crescita e qualsiasi persona che diceva una cosa diversa era un “verde pazzerello”. Questa situazione è cambiata in modo drammatico, oggi è riconosciuto che dobbiamo agire - anche se come dicevo è sempre troppo debole la consapevolezza dell’efficienza energetica – e che dobbiamo agire insieme all’industria, all’economia, ed è questa una differenza essenziale. Negli anni 1975/80 siamo partiti con la resistenza contro qualcosa, abbiamo fatto degli scenari alternativi, ma non siamo andati oltre. Ora si tratta di attuare e di realizzare. Oggi l’Agenzia energetica tedesca agisce, innanzi tutto, con i grandi attori economici con i produttori di energia elettrica, ma anche l’industria chimica e dell’acciaio, per sviluppare strategie e progetti di efficienza energetica. In una frase: gli Anni ’80 erano la discussione teorica di scenari; oggi dobbiamo imboccare sentieri di attuazione con i grandi attori sul mercato e nel campo.
"Un modello sbagliato ma inarrestabile dilaga là dove tutti lo aspettano e nessuno lo contrasta: perché il modello è seducente, anche nei suoi mali.", Ferdinando Camon
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