4 novembre 2006

Ma chi è Abu Grahib?

(fonte: altrenotizie - 02/11/2006)

Una nota trasmissione televisiva ha intervistato a tradimento alcuni parlamentari aspettandoli fuori dalle camere per interrogarli sui fatti di cronaca. Il risultato è stato quanto di più desolante. A domanda risposero che il Darfur è uno stile di vita (confondendolo con il fast-food); che Abu Grahib era un tizio che è stato torturato (e che “l’effetto - Abu Grahib” è il sinonimo di “effetto - domino”); che Rabin era un rappresentante palestinese incarcerato e oppresso; che Hitler non scrisse il Mein Kampf perchè non aveva tempo. A completare il quadro una diffusa ignoranza sul significato di oscure sigle, su cosa significhi Consob, o su quella altrettanto misteriosa che identifica la Rizzoli-Corriere della Sera (RCS). Si può concedere che siano state mostrate solo le domande che hanno raccolto risposte da deficienti e che la figura, mitigata da una serie di risposte a segno, non sarebbe stata tanto terrificante nella realtà. Resta però sospeso il sospetto che chi è in grado di articolare bestialità del genere possa avere oggettive difficoltà nell’adempiere pienamente il mandato parlamentare. Nessuno pretende dagli eletti in Parlamento una preparazione sopraffina o particolari doti da tuttologo, ma chiunque presti pensiero a questi dettagli si augura che esista un limite verso il basso da non valicare. Lasciamo per un momento da parte l’etica e le sue scomode domande, non chiediamoci perché alcuni politici abbiano deciso di gettare la propria ignoranza oltre il video - invece di svicolare felpati come la maggior parte dei colleghi - e proviamo ad immaginare l’operatività di assemblee composte da personale politico del genere. Prima di tutto è evidente che gran parte dei dibattiti alle Camere ad alcuni entra da un orecchio ed esce dall’altro senza lasciare traccia o curiosità. Lo dimostra in particolare la scarsa conoscenza dell’esistenza della Consob, un tipo di istituzione ormai integrato nell’assetto costituzionale delle moderne democrazie occidentali, non solo l’organo di controllo della borsa italiana. La Consob viene nominata in moltissime sedute parlamentari, ma evidentemente c’è gente che vota le leggi destinate a regolare la nostra economia senza neppure sapere che esista; gente che nemmeno ha mai avuto la tentazione di scoprire cosa sia questa Consob. Allo stesso modo, quando nelle sedute solenni in nome e in onore dei morti di fame, di malattie e di stenti per l’egoismo mercantile del primo mondo, quando si firmano con le stilografiche più preziose impegni altisonanti favore dei paesi che deprediamo, la gran parte dei presenti non sa nemmeno di che paesi si parli né quali siano i problemi. Che speranza si può nutrire sul fatto che un parlamentare italiano possa curare gli interessi di gente che non conosce e che non voterà mai in Italia, perché mai il deputato si dovrebbe allarmare a sentir discutere di fame e stragi nel Fast-food? E perché mai un deputato si dovrebbe allarmare se il signor Abu Grahib è stato un po’ torturato e un po’ oppresso non si sa dove e nemmeno da chi? Perché quelli che insultano i “pacifinti” dovrebbero ricordare le torture americane e altri massacri ed orrori? Quali fantasiose associazioni di idee illumineranno parole come: Falluja, Najaf, Gaza, Kandahar, nelle menti dei nostri deputati? Il dramma si raggiunge nella gestione della politica estera, che per anni è stata maneggiata maldestramente a vista, cercando di seguire la parte assegnata dall’amico americano, ma che da anni non viene discussa o analizzata in pubblico. In questo quadro va dato atto al corpo diplomatico italiano di aver retto l’urto devastante del berlusconismo, evitando che il nostro paese diventasse un paria internazionale, mentre allo stesso tempo subiva l’urto della riforma che avrebbe dovuto trasformare le ambasciate e gli istituti di cultura in show-room per il Made in Italy. La parallela sparizione della cronaca dall’estero dall’orizzonte dei media, ha incentivato il disinteresse in capo al personale politico italiano per gli avvenimenti del mondo. La guerra non è stata una “issue” alle ultime elezioni; così come non lo è stato alcun tema di politica estera o “globale”. Lo stagno della politica italiana non ha colto neppure l’emergere dell’allarme ecologico, che in altri paesi ha già spinto anche alcune formazioni conservatrici ad abbracciare politiche “verdi”, in altri tempi considerate da bolscevichi. In pochi anni siamo diventati uno dei paesi che spende di più per i militari e meno per gli aiuti umanitari, invertendo una politica ultradecennale senza che la cosa suscitasse la minima discussione. Ora che cominciano ad emergere storie penose come quella dell’elemosina al Darfur recapitata dall’attivissima Contini (incapace di costruire l’ospedale promesso, come la scuola); ora che si scopre che la Protezione Civile ha speso solo 6 milioni di euro per soccorrere le (centinaia di migliaia di) vittime dello tsunami e 15 milioni per sovrintendere ai funerali di Woytila (a titolo di esempio 15 milioni di euro è la cifra chiesta dall’ONU l’anno scorso per salvare 3 milioni di nigerini dalla carestia e non fu raccolta lasciando gli abitanti negletti del Niger alla loro sorte), sarebbe forse il caso di aprire un tavolo che ridisegni l’impegno internazionale del nostro paese, non senza la premessa della doverosa istituzione di un servizio di alfabetizzazione geopolitica in favore dei poveri deputati, in modo che non si trovino mai più a dover votare gli aiuti ai morti di fame credendo invece di finanziare i fast-food.

"Niente è più terribile di un'ignoranza attiva", Goethe

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