26 gennaio 2007

Terra di nessuno

(fonte: peacereporter.net, Matteo Fagotto)

Non è più il far west delle scorse settimane, ma in Somalia la stabilità resta un’utopia. Il giorno dopo il ritiro da Mogadiscio di 200 soldati etiopi, l’aeroporto della capitale è stato bombardato da colpi di mortaio che hanno provocato almeno 4 morti. L’Unione Africana non riesce a organizzare l’invio dei peacekeepers promessi, nonostante il governo assicuri che i primi berretti verdi arriveranno entro una settimana. Intanto, continuano i raid statunitensi nel sud del Paese, a caccia degli islamisti nascostisi nelle foreste. Le vittime degli ultimi bombardamenti sarebbero almeno venti.

“L’attacco all’aeroporto è avvenuto verso le 11.30, durante l’ora di punta, poco dopo l’atterraggio del personale Onu – racconta a PeaceReporter Sahal Abdulle, giornalista somalo – una selva di proiettili di mortaio ha colpito sia l’interno che l’esterno dell’aeroporto, dove sostavano alcuni venditori. Almeno 5 persone sono rimaste ferite, tre in maniera grave”. L’attacco è avvenuto poco dopo il ritiro di alcuni contingenti etiopi, a cui però il nostro interlocutore non dà importanza. “E’ poco più che propaganda per soddisfare le pressioni della comunità internazionale e della popolazione, la cui insofferenza verso gli occupanti stava crescendo – continua Abdulle –. Gli etiopi continuano a stazionare in città: ieri 43 camion militari sono usciti dalla città in questa sorta di show, ma altri 43 ne sono entrati dalla direzione opposta. Hanno semplicemente fatto rientrare dalla finestra quello che era uscito dalla porta”. Una visione che contrasta con la versione ufficiale di Addis Abeba, che continua a sostenere come la sua missione sia terminata e il ritiro degli uomini, concordato in tre fasi, sia effettivamente iniziato.

L’ultima di queste fasi dovrebbe coincidere con l’arrivo dei primi peacekeepers dell’Unione Africana. Nelle intenzioni almeno 9 mila uomini dovrebbero essere schierati nel Paese, ma finora solo il Sudafrica (previa approvazione del Parlamento) e il Malawi hanno effettivamente messo a disposizione un totale di 2.500 uomini. L’Unione Europea, che ha promesso un contributo per finanziare la missione, tentenna. “L’Ue chiede delle garanzie, in primis che venga revocata la legge marziale perché il regime somalo attuale sembra in modo preoccupante una dittatura” rivela Abdulle. Il primo ministro, Mohammed Ghedi, continua a sostenere che i primi uomini dell’Ua arriveranno entro una settimana, ma la situazione sul campo sembra suggerire tutt’altro. Intanto, nel sud continua la battaglia con i superstiti delle Corti islamiche. Nel “mar nero”, come sono chiamate le fitte foreste della parte meridionale del Paese, le truppe governative non sembrano aver acquisito un vantaggio decisivo. “Ieri, alcuni ufficiali Usa hanno ammesso l’organizzazione di nuovi raid aerei avvenuti lunedì scorso – continua Abdulle – ma non è chiaro che zona sia stata colpita. Sarà necessario trattare con le Corti, almeno con l’ala moderata, per avviare un processo di riconciliazione nazionale. Solo così la situazione interna potrà stabilizzarsi e Mogadiscio potrà smettere di essere una città armata fino ai denti”. Un suggerimento che i mediatori europei e nordamericani sembrano voler seguire, sponsorizzando il dialogo tra il governo e Sheikh Sharif Ahmed, il leader dell'ala moderata delle Corti catturato recentemente in Kenya. Dialogo a cui, finora, il governo somalo sembra prestarsi più per le pressioni degli alleati che per volontà propria.




"Fino a quando il colore della pelle sarà più importante del colore degli occhi ci sarà sempre la guerra", Bob Marley

1 commenti:

Anonimo ha detto...

Mogadiscio non è stata pacificata in 13 anni di tempo. C'erano zone in città ancora insicure.
Incredibilmente vogliono fare tutto adesso e trovare anche un accordo tra le parti... lo spero, ma non mi sento realista.

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