19 febbraio 2007

Oppio e Afghanistan

Risale a pochi giorni fa l'incontro tra Romano Prodi e il presidente afgano Hamid Karzai. Questi colloqui romani coincidono con l'annuncio dell'offensiva militare americana e con l'immediata replica dei ribelli afgani. Molto interessante è una dichiarazione di Karzai, che ha voluto sottolineare come «non ci sarà nessun attacco dei ribelli se essi non riceveranno aiuti e supporto dall'esterno», con un implicito riferimento alle basi dei neo-talebani sul territorio pakistano. Aspetto di cui ci eravamo già occupati meno di un mese fa. Le dichiarazioni del presidente afghano fanno però sorgere un'altra legittima domanda: Chi finanzia questi guerriglieri?. Perchè se è certo che i talebani si autosostentano grazie al business dell'oppio, chi sono i mercanti che stanno dietro al commercio di questo stupefacente (la cui produzione, nel 2006, è aumentata del 61% rispetto all'anno precedente)?

Questo post non ha certamente l'utopica intenzione di rispondere esaustivamente alla domanda, ma semplicemente constatare che questo business coinvolge tutti i livelli della società afghana, compresi militari distrettuali, governatori provinciali e soprattutto responsabili governativi di Kabul. É dal maggio scorso, mese in cui il LA Times pubblicò un articolo in seguito al rinvenimento dei dischi fissi dei pc trafugati dalla base Usa di Bagram, che le autorità americane sono a conoscenza di questi coinvolgimenti, e nonostante la situazione stia diventando sempre più fuori controllo, nessuno sembra intenzionato a porvi rimedio rinnovando dei vertici che evidentemente hanno diversi interessi a mantenere lo status quo. Un comportamento riprovevole, soprattutto se si valuta attentamente l'importanza delle autorità coinvolte nelle dinamiche del paese. A partire da Sher Mohammed Akhundzada, l’ex governatore della provincia di Helmand, nei cui uffici sono state rinvenute tonnellate di oppio, in uno dei più importanti raid per dimensioni, dal 2002 ad oggi. A difesa del governatore è subito intervenuto il Generale Mohammed Daud, il capo della sezione antinarcotici generale. Peccato che il signore in questione, sembra più interessato ad alimentare questo commercio illegale piuttosto che fermarlo. Continuando, alla lista aggiungiamo il nome di Abdul Rashid Dostum, il capo di stato maggiore della Difesa generale (e ex candidato alle elezioni in cui vinse Hamid Karzai) e il suo predecessore maresciallo Mohammed Fahim. Ma il nome che molto probabilmente colpirà maggiormente l'attenzione del lettore, che è anche quello del boss più potente, e che in pochi osano fare è quello di Walid Karzai, fratello del presidente ospite a Roma. Nel documento emerso dai dischi fissi ella base Usa è classificato come “problem maker” che riceve soldi dai trafficanti di droga al fine di facilitare i loro commerci illeciti [Independent, 4/13/2006; ABC News, 6/22/2006; Associated Press, 6/23/2006]. A fronte di queste informazioni è lecito chiedersi quanto sia utile procedere con le ruspe nei campi puntando il fucile contro il contadino, costretto a coltivare papaveri per dar da mangiare ai propri figli, data la mancanza di ogni reale alternativa economica di sopravvivenza.

E’inutile strappare la pianta se si lasciano nella terra le radici: i papaveri continueranno a fiorire.

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