Alla luce di queste continue rivelazioni, è legittimo che il lettore si chieda per quanto tempo dovranno proseguire queste carneficine perpetrate da mercenari che sono addestrati da ufficiali statunitensi e armati da ex-ufficiali israeliani.
26 marzo 2007
Mercanti d'armi
Da ormai più di un anno e mezzo, un nuovo terrificante sviluppo in Iraq è stato la scoperta di dozzine di corpi gettati in discariche, fiumi o edifici abbandonati, dopo che alle vittime erano state inflitte torture e mutilazioni. Al momento dell'invasione dell'Iraq nel marzo del 2003, fino al giugno del 2004, il fenomeno degli squadroni della morte era praticamente sconosciuto in quel paese e i soldati Usa erano quotidianamente feriti o uccisi dalla resistenza irachena. La replica degli Stati Uniti fu di inviare John Negroponte e la sua nomina di ambasciatore in Iraq, da parte di Bush, ha marcato lo sviluppo e la formazione di quegli squadroni della morte iracheni oggi ampiamente conosciuti. Questo fenomeno è stato così universalmente riconosciuto e documentato che il Newsweek ha persino pubblicato un articolo a proposito del fatto che il governo considerasse seriamente di seguire il modello latino-americano di uccidere chiunque fosse semplicemente sospettato di opposizione agli interessi statunitensi, mediante questo braccio armato addestrato. A questo coinvolgimento vergognoso, che sarebbe da solo sufficiente a condannare l'intera gestione del conflitto irakeno, si è aggiunta una notizia di queste settimane, passata in secondo piano. A riportarla è il Ma'ariv Daily, quotidiano israeliano. Il protagonista di questa vicenda è Shmoel Avivi, un ufficiale israeliano in pensione, che da due anni a questa parte, dopo essersi stabilito in Iraq, vende armi ai guerriglieri e ai gruppi terroristi della zona. Addirittura, secondo Amnesty International, sarebbe uno dei più importanti trafficanti d'armi dell'intero Medio Oriente. É quindi necessario che qualcuno vada ad informare ufficiali come il colonnello Justin Maciejewski, che da un mese punta il dito contro l'Iran, reo, secondo la sua personale opinione, non supportata da prove ufficiali, di vendere armi alla resistenza irakena.
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