25 aprile 2007

I gulag di Baghdad

Di fronte all'insorgenza di Baghdad, sempre più spietata nonostante l'aumento delle truppe deciso da Bush, le forze di occupazione statunitensi stanno ora pianificando una massiccia ed estremamente controversa operazione di controguerriglia che recinterà vaste aree della città, isolando interi quartieri con barriere che solo gli iracheni muniti di nuove carte d'identità saranno autorizzati a varcare. Il piano statunitense prevede di realizzare un muro ad Adhamiya di 5 kilometri, per 4 metri d'altezza, la cui costruizione sarà supervisionata da ingegneri americani e utilizzerà una sottopagata manodopera irachena. A detta di Pepe Escobar (Asia Times Online, 14 aprile) si tratta della prima installazione che porterà alla realizzazione di un "gulag" a Baghdad, un esempio di apartheid mesopotamico. La costruzione del muro ha incontrato la strenua resistenza degli abitanti della zona, e tutta una serie di manifestazioni appoggiate dalla Association of Muslim Scholars. I sondaggi effettuati nella zona rilevano che più del 90% della popolazione è contraria alla realizzazione di questa recinzione. Dello stesso parere è l'IRIN (Integrated Regional Information Network), che sostiene che la costruzione di queste barriere, invece di costituire un freno alla violenza dilagante, acuirà gli scontri e le divisioni all'interno del paese, rallentando ulteriormente il processo di pace.

La campagna per le "comunità recintate", già sperimentata (e clamorosamente fallita) nella guerra in Vietnam, coinvolgerà 30 degli 89 quartieri ufficiali della città e costituirà il più ambizioso progetto di controguerriglia fino ad oggi messo in opera dagli USA nel paese. Volendo rapportarsi ad una realtà mediorientale è sufficiente citare il caso di Israele, che ha fatto uso, anche in questo caso con scarsi risultati, di tecniche simili nel corso dell'occupazione del territorio palestinese. Questo progetto di sicurezza (si confronti il manuale operativo FM 3-24) prevede la nascita di "basi di appoggio" americane, una sorta di edifici fortificati utili a pattugliare e tenere sotto controllo all'interno di comunità recintate in cui saranno controllati gli accessi. In sostanza i civili potrebbero finire col trovarsi in una prigione di "popolazione controllata". Sul manuale FM 3-24 diversi ufficiali statunitensi hanno manifestato le loro perplessità, prevedendo che le comunicazioni con l'esterno di tali basi potrebbero essere ostacolate dai ribelli, che avranno anche l'occasione di poterle attaccare. Sarà inoltre più facile abbattere gli elicotteri, che sono estremamente vulnerabili quando entrano nelle aree di sorveglianza. I ribelli inoltre potrebbero avere gioco facile nel reclutare fiancheggiatori all'interno delle "comunità recintate", visto il crescente malcontento fra gli irakeni.

Questo progetto di spartizione non si limita alla costruzione di singole fortezze, bensì anche alla distruzione delle vie di comunicazione tra quartieri sciiti e sunniti. Il 12 aprile scorso un attacco suicida (in teoria) ha infatti fatto crollare il ponte di al-Sarafiya (nella foto) che collegava le aree orientali, a prevalenza sciita, con quelle occidentali, a prevalenza sunnita, divise dal Tigri. La notizia di un "camion bomba" fatto esplodere sul ponte è stata diffusa dalle forze armate statunitensi, senza che nessuna fonte irachena o indipendente ha potuto controllare l'informazione. Secondo alcuni testimoni iracheni, un elicottero da combattimento statunitense avrebbe sparato due missili contro la struttura; ma queste affermazioni dei testimoni non sono mai state riportate. Un altro tassello che va ad aggiungersi al mosaico della strategia antiguerriglia, fondata sul principio del divide et impera.

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