13 aprile 2007

L'attacco iraniano al dollaro

Mentre la stampa internazionale si preoccupa dei piani di arricchimento nucleare iraniano, Teheran prosegue la sua battaglia sotterranea contro il dollaro. Ehrabhim Sheibany, governatore della Banca Centrale iraniana, ha comunicato che tutte le trattative petrolifere non saranno più legate al dollaro. Scelta confermata anche dalla Zhuhai Zhenrong Trading, compagnia cinese che acquista 240.000 barili al giorno (circa il 10% del totale) dall'Iran. La Cina, che importa circa il 12% del proprio fabbisogno di petrolio dall'Iran, ha firmato lo scorso anno un accordo di più di 100 miliardi di dollari per sviluppare il gigantesco campo petrolifero di Yadvaran. Tale giacimento frutterà 150.000 barili al giorno per i prossimi 25 anni, assicurando alla nazione persiana una posizione di primo piano fra i fornitori di idrocarburi. Sembrerebbe che, per onorare tale accordo economico, la Cina sia intenzionata ad utilizzare lo yuan come moneta di scambio. Una posizione simile è quella del Giappone, che utilizzerà lo yen per pagare i 550.000 barili al giorno acquistati dalle proprie raffinerie.

La scelta di non accettare più pagamenti in dollari è un ulteriore passo avanti verso l'apertura di una Borsa petrolifera iraniana, che si baserà su un meccanismo del commercio del petrolio in euro e che naturalmente implicherà il pagamento del petrolio con la moneta europea. In termini economici, ciò costituisce una ben più grande minaccia all’egemonia del dollaro, perché in tal modo si permetterà a chiunque desideri o comprare o vendere il petrolio in euro di effettuarvi le transazioni, raggirando così del tutto la moneta statunitense. Se ciò accade, allora è probabile che quasi tutti saranno desiderosi di adottare il sistema petrolio-euro. Basti ricordare che lo scorso anno il dollaro ha perso il 9% del proprio valore nei confronti dell'euro, e negli ultimi cinque anni il 35%. Si tratta quindi di una minaccia molto più prossima e gravosa rispetto a quella scarsa centinaia di centrifughe per l'arricchimento dell'uranio attualmente funzionanti in Iran. La reazione statunitense non è certo prevedibile, perchè qualsiasi opzione per ostacolare queste operazioni risulterebbe controproducente, e magari anche più dannosa del problema stesso. L'Iran gode infatti dell'appoggio cinese e russo, per via degli accordi energetici, e, in caso di un attacco militare, sarebbero inevitabili le ritorsioni delle due superpotenze. In particolare della Cina, che possiede in riserva 769 miliardi di dollari, il 30% del proprio PIL.

In barba a qualsiasi programma di armamento nucleare, la borsa petrolifera iraniana rappresenta oggi una delle più grandi sfide al dollaro e ai suoi difensori della Federal Riserve.

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