Novantanove soldati statunitensi [*1 - *2] si sono suicidati lo scorso anno, la cifra più alta mai raggiunta di suicidi nell'esercito nei 26 anni di raccolta dati. Circa un terzo del totale ha compiuto questo gesto mentre si trovava in missione di pace. L'Iraq è in testa a questa graduatoria, con 27 morti, l'Afghanistan 3. Gli ufficiali hanno anche aggiunto che ci sono stati 948 tentativi di suicidio. Questi 99 morti costituiscono il più grande numero di suicidi (nel 2005 erano 87) dal 1991 ad oggi, anno in cui un maggior numero di soldati combatteva la prima Guerra del Golfo.
Il 2006 diventa quindi l'anno con il più alto tasso percentuale di suicidi dal 1980, con una media di 17,3 su 100.000.
Relazioni personali fallite, problemi finanziari e legali sono le cause principali che spingono i soldati al gesto disperato di suicidarsi. Altro fattore importante è il servizio militare, lo studio dell'Esercito ha infatti notato una correlazione tra il numero di giorni di dispiegamento sul campo (nei vari scenari di guerra) e i tentativi di suicidio. Problema acuito dalla scelta del Pentagono di aumentare da 12 a 15 mesi il periodo di servizio a causa dell'impiego delle proprie Forze su due fronti, quello afghano e quello irakeno.
Alcune indagini dell'Esercito hanno rivelato che il 20% dei soldati hanno segni e sintomi di stress post-traumatico, che in futuro potrebbero causare dei flashback di esperienze traumatiche sul campo di battaglia. Inoltre circa il 35% dei militari che terminano il proprio servizio cercano una qualche forma di trattamento psicologico. Percentuali che potrebbero crescere ulteriormente nei prossimi anni, se si considera che dal 2005, per fronteggiare alla crisi di volontari, l'Esercito ha abbassato i requisiti minimi [*3] per arruolarsi, al punto che l'alcolismo e lo scarso allenamento non costituiscono più un ostacolo per le aspiranti reclute. Per lo stesso motivo l'Esercito sollecita sempre di più gli psicologi affinchè minimizzino le conseguenze mentali del conflitto sul paziente [*4], in modo da poterlo successivamente richiamare in servizio. Molti medici dell'esercito hanno infatti dichiarato che sono stati obbligati a diagnosticare a molti pazienti uno stress da post-combattimento piuttosto che un ben più grave stress post-traumatico (PTSD).
A dimostrare quanto i militari risultino alienati se sottoposti costantemente a questo genere di pressioni, ci sono diverse memorie dei soldati stessi. Colby Buzzell, a pagina 297 del suo "My War: Killing Time in Iraq", scrive di "aver realizzato di trovarsi dal'altra parte del pianeta, lontano da casa" e di essere "uno straniero in una terra davvero strana".
Soldati, come Kayla Williams, che non sembrano nemmeno in grado di identificare il nemico: "[W]e called them hajjis, but we also called them sadiqis... or habibis.... We called them towelheads. Ragheads. Camel jockeys. The fucking locals. Words that didn't see our enemy as people -- as somebody's father or son or brother or uncle", Love My Rifle More Than You: Young and Female in the US Army (p.200) .
Non stupisce che i militari stessi abbiano difficoltà a reinserirsi in società, tanto da non voler abbandonare il campo di battaglia: "[I]n all honesty, I did it because I didn't want to leave Iraq. One of the ways to cope with being in combat is to go crazy just a tiny bit and learn to enjoy the work... I was afraid that if I left, it would be difficult to get back into the 'combat is fun' way of thinking when I returned"
I soldati americani impegnati nei vari scenari di guerra sono posti costantemente davanti a delle scelte, solitamente tra aprire o meno il fuoco, come succede nei numerosissimi checkpoints o quando si trovano in un convoglio. Inoltre secondo uno studio del New England Journal of Medicine [*5], datato 2004, il 14% dei soldati dell'Esercito americano, e il 28% della Marina torna dall'Iraq responsabile della morte di quello che in gergo si definisce un non-combattente. O meglio, un civile. Impiegare nuovamente dei soldati con disturbi mentali (per non parlare delle reclute con problemi d'alcolismo) non può che aumentare queste cifre già di per sè orribili. Questa scelta, oltre che ad essere deleteria per i soldati stessi, comporta anche grandi rischi per le popolazioni occupate e costituisce un ulteriore esempio degli innumerevoli crimini di guerra commessi contro gli stessi individui a cui, almeno a parole, si vorrebbe esportare la democrazia.
"This is my rifle. There are many like it, but this one is mine.
My rifle is my best friend. It is my life. I must master it as I must master my life.
My rifle, without me, is useless. Without my rifle, I am useless. I must fire my rifle true. I must shoot straighter than my enemy who is trying to kill me. I must shoot him before he shoots me. I will... ", Rifleman's Creed
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99 come i nomi di Allah.
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