3 ottobre 2007

Hometown Baghdad

Questo articolo segue ad un post di metà luglio: "I futuri cittadini irakeni".

[Hometown Baghdad]

[*AGI] La "crescente" crisi dei rifugiati dall'Iraq non e' affrontata "in modo adeguato" dalla comunita' internazionale, che lascia l'onere maggiore sulle spalle dei principali Paesi ospitanti, Giordania e Siria. La diretta conseguenza e' il rafforzamento dei controlli alla frontiera e la chiusura delle principali vie di fuga per chi cerca scampo dalla violenza. L'allarme viene dall'ultimo rapporto di Amnesty International, dal titolo 'Milioni in fuga: la crisi dei rifugiati iracheni', che si conclude con l'appello a Damasco ed Amman "di continuare a tenere aperti i confini a tutti coloro che fuggono per salvarsi la vita". [...] Almeno quattro milioni di iracheni sono stati costretti a lasciare i loro luoghi di origine e il numero continua a crescere al ritmo di 2.000 persone al giorno. "Non c'e' al mondo altra crisi che si sia sviluppata con tale rapidita'", fa notare il rapporto di Amnesty. Attualmente la Siria ospita 1,4 milioni di rifugiati e la Giordania almeno mezzo milione, mentre gli iracheni che hanno cercato riparo all'interno del proprio Paese sono 2,2 milioni. [...]



[Hometown Baghdad]

[*Osservatorio Iraq] Un terzo della popolazione irachena ha bisogno di aiuti d'emergenza, a causa della crisi umanitaria provocata dalla guerra e dalla violenza in atto nel Paese. Il 15% degli iracheni non può permettersi di mangiare regolarmente, e il 70% non ha accesso adeguato all'acqua, mentre il 28% dei bambini è malnutrito, e il 92% ha problemi nell'apprendimento. E' solo una parte del quadro che esce da un nuovo rapporto sulla situazione umanitaria in Iraq, redatto dall''organizzazione internazionale Oxfam assieme al NGO Coordination Committee in Iraq (NCCI) – il coordinamento che raggruppa le Ong che operano in Iraq – e reso pubblico oggi.Lo studio – dal titolo Rising to the Humanitarian Challenge in Iraq [Essere all'altezza della sfida umanitaria in Iraq] - dice che, nonostante la violenza armata sia la maggiore minaccia che oggi si trovano ad affrontare gli iracheni, la popolazione sta vivendo anche un'altra crisi "di portata e gravità allarmante", minacciata sempre più da malattie e malnutrizione. A circa 8 milioni di persone servono urgentemente acqua, servizi fognari, cibo, e alloggio, mentre sono oltre 2 milioni - in maggioranza donne e bambini – quelli che sono stati costretti ad abbandonare le loro case, e ora vivono da sfollati all'interno dell'Iraq, senza un reddito su cui poter contare. [...]



[Hometown Baghdad]

Molti dei dati riportati nel rapporto mostrano un deterioramento marcato delle condizioni di vita degli iracheni rispetto a prima dell'invasione Usa. L'accesso all'acqua, ad esempio, è sceso al 70%, dal 50% del 2003, mentre la malnutrizione infantile è oggi del 28%, rispetto al 19% di prima dell'invasione. Attualmente, solo il 60% degli iracheni ha accesso alle razioni alimentari governative – il "sistema pubblico di distribuzione" (PDS) creato nel settembre 1990, sotto Saddam Hussein, per far fronte agli effetti devastanti delle sanzioni economiche, imposte al Paese dopo l'invasione del Kuwait, e poi mantenute fino alla guerra del 2003. Il 43% vive nella"povertà assoluta", si legge nel rapporto, mentre, secondo alcune stime, più di metà della popolazione è senza lavoro."I servizi essenziali, distrutti da anni di guerra e sanzioni, non sono in grado di soddisfare le necessità degli iracheni", ha detto Jeremy Hobbs, direttore di Oxfam International. "Milioni di iracheni sono stati costretti a fuggire dalla violenza, o in un'altra parte dell'Iraq, o all'estero. Molti di questi stanno vivendo in una tremenda povertà".


[ *IRIN] L'Iraq è il Paese più letale al mondo per gli operatori umanitari, dicono gli specialisti. Trattati come collaboratori dell'Occidente dagli insorti, e considerati faziosi dal lato confessionale dalle milizie, rischiano la morte ogni giorno, mentre cercano di soddisfare le necessità di una popolazione sempre più disperata. [...] Cedric Turlan, responsabile della comunicazione del Comitato di coordinamento delle Ong in Iraq (NCCI), dice che almeno 84 operatori umanitari (18 internazionali e 66 locali) sono stati uccisi in Iraq dal 2003, il numero più elevato che in qualunque Paese al mondo nello stesso periodo. [...]


[Hometown Baghdad]

[...] Dal 2003, dozzine di Ong internazionali e agenzie delle Nazioni Unite hanno chiuso i loro uffici, dopo che i loro volontari o il loro staff erano stati presi di mira. Le Nazioni Unite e la maggior parte delle Ong internazionali operano dai Paesi vicini, e fanno affidamento su organizzazioni irachene per fornire gli aiuti alle famiglie bisognose. La Iraqi Red Crescent [Mezzaluna Rossa Irachena NdT] è stata al centro della consegna degli aiuti in Iraq, ma dopo il sequestro di parte del suo staff e dei suoi volontari, nel dicembre 2006, sta tenendo un basso profilo, e di conseguenza fornendo meno assistenza alla gente in tutto il Paese, in particolare nella capitale, Baghdad. Anche la Iraq Aid Association (IAA), una Ong con sede a Baghdad, è stata ripetutamente minacciata, e tre dei suoi volontari sono stati uccisi negli ultimi otto mesi. “Stiamo cercando di continuare il nostro lavoro, lavorando in zone diverse e cercando di mandare gente della stessa confessione nei loro quartieri quando consegniamo gli aiuti”, dice Fatah Ahmed, un portavoce dell'organizzazione. “Dodici dei nostri 32 voluntari sono andati in Giordania e in Siria negli ultimi mesi, in cerca di rifugio in Paesi stranieri, dopo aver ricevuto minacce da parte di gruppi armati”, aggiunge. I combattimenti fra miliziani, insorti, e forze Usa e irachene ha spesso impedito alle Ong di consegnare aiuti in alcune delle zone più esposte alla violenza, dove la gente ha maggiore bisogno di assistenza. “Non ci permettono di entrare in quelle zone per ragioni diverse. Quando chiediamo protezione per raggiungere gente bisognosa, la risposta è sempre che se vogliamo entrare, saremo considerati come qualunque altro civile, e dovremo subire le conseguenze dei combattimenti”, dice Ahmed. “Le famiglie sfollate in città come Falluja, Ramadi, a Diyala, e in alcuni quartieri della capitale sono disperate, invocano aiuto da parte delle Ong, ma noi non possiamo avvicinarci. Lasciamo le famiglie a bere acqua sporca dai fiumi, o a mangiare un solo pasto al giorno”.

Tutti i video pubblicati in questo post fanno parte del progetto Hometown Baghdad, una serie online che racconta la vita di tre giovani irakeni.

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