Piu' di cinquanta piedi di lunghezza per otto di altezza, per un peso di circa cinque tonnellate. Non si può certo sostenere che il primo modello di calcolatore dell'Ibm potesse passare inosservato. Era il 1944 e al di là dell'oceano era agli sgoccioli una tremenda guerra contro le aberrazioni nazifasciste. Il colosso dell'ancora embrionale industria informatica statunitense esisteva ormai da più di un trentennio, e aveva fatto in tempo, dopo aver messo le proprie competenze a servizio del governo statunitense, a contribuire alla deportazione nazista. Come? "Informatizzando" le spedizioni nei campi di sterminio mediante schede perforate. L'ex presidente del congresso ebraico americano, Arthur Herzberg, ha da tempo accusato la multinazionale americana di aver contribuito alle deportazioni degli ebrei nei campi di concentramento: "L'Ibm, che aveva una filiale nella Germania nazista, fabbricò schede perforate che permisero un'efficace organizzazione dell'invio degli ebrei nei campi di concentramento, e la casa madre della società, negli Stati uniti, era al corrente dei fatti" [*1].
Questa accusa, a meno che non si voglia cimentarsi nell'ennesima stucchevole diatriba sugli effetti dello pseudo-capitalismo, non va tanto valutata singolarmente, quanto archiviata come pezzo del gigantesco puzzle che è la Seconda Guerra Mondiale, soprattutto in relazione alle varie domande senza risposta della storiografia ufficiale. Domande che nascono da fatti militari veramente inspiegabili, o meglio, che potrebbero trovare una spiegazione solo ipotizzando che dietro alle fazioni in lotta ci fosse una regia unica. Vi chiederete di cosa stia parlando. Ecco un ottimo punto di partenza per cercare delle risposte: "Planning vs reverse engineering" da La Voce del Gongoro.
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