23 gennaio 2008

Peak oil, una voce fuori dal coro

Il Times ha recentemente pubblicato uno studio [*1] del Cambridge Energy Research Associates (Cera) su 800 pozzi petroliferi. Il risultato di questa ricerca pone sotto una nuova luce la questione del picco del petrolio: il tasso di declino nelle estrazioni è "solo" del 4,5% all'anno, ovvero circa la metà della percentuale prevista. Questi dati hanno portato l'agenzia a concludere che l'estrazione di petrolio potrà continuare a crescere nel prossimo decennio. Peter Jackson, l'autore del rapporto ha affermato che saranno in grado di estrarre 100 milioni di barili al giorno fino al 2017, a fronte degli 85 milioni di barili di oggi. Dello stesso avviso è Peter Davies, economista della British Petroleum, che la causa del picco potrebbe essere non tanto lo scarseggiare della risorsa, quanto un fattore umano: le politiche dei governi, compresa la tassazione e gli sforzi di ridurre l'effetto serra. Le previsioni sul peak oil sarebbero quindi errate, ma potrebbero rivelarsi esatte tra una generazione, a causa di un declino della domanda e non dell'offerta. Secondo Davies c'è quindi un'ottima possibilità che il Picco sia il frutto delle politiche ambientali piuttosto che dello stato dei giacimenti petroliferi. In effetti il fattore umano nella produzione di petrolio non è assolutamente secondario rispetto alla disponibilità del greggio. Ad esempio nel giacimento saudita di Khursaniyah la produzione non riesce ad arrivare alla massima efficienza [*2] (500.000 barili al giorno), almeno a detta di Faisal Hasan, capo ricerche di un centro del Kuwait, a causa della mancanza di acciaio e cemento per proseguire la costruzione degli impianti [*3]: "The costs of raw materials, such as steel and cement, have increased''. Oltre alle politiche ambientali, al fattore umano, alla scarsità di materie prime, c'è un altro fattore che potrebbe far ridurre il consumo di petrolio prima che si arrivi al famigerato picco di produzione: il costo del greggio. A inizio gennaio il barile ha infatti raggiunto i 100 dollari e una cosa è certa, questi prezzi stanno avendo un effetto evidente nel ridurre i consumi nei paesi consumatori. Per il momento, le riduzioni sono modeste. Secondo i dati forniti dalla British Petroleum, in Italia siamo scesi dell'8% circa dal 2003 al 2006; altri paesi scendono un po' meno, come riporta l'articolo di Euan Mearns su TOD. Quindi, i prezzi stavano già facendo il loro dovere di "distruzione della domanda" quando erano intorno ai 70 dollari al barile l'anno scorso. Ora si tratta di vedere come le economie occidentali si adegueranno alla riduzione della disponibilità petrolifera. Potrebbe non essere un adattamento piacevole per chi si deve adattare, e in primis ovviamente ci finiranno in mezzo le persone con i redditi più bassi. Un record di prezzo che è stato raggiunto non tanto per una questione di domanda-offerta, quanto piuttosto di iniezioni di liquidità sul mercato. Lo spiega ottimamente La voce del Gongoro nell'editoriale (la parola post non mi piace neanche un po') "Iniezioni di Stupidità". La causa di questo continuo aumento dei prezzi delle merci è l'inflazione (nel senso originario del termine, ovvero di aumento della massa monetaria), causata dalle iniezioni di liquidità delle Banche Centrali e della FED. Tant'è che se osserviamo (Il Wall Street Journal ha pubblicato un ottimo articolo) l'andamento del prezzo del petrolio nell'ultimo decennio ci rendiamo conto che rispetto al dollaro è aumentato del 350% e rispetto all'euro del 200%, ma rapportandolo all'oro questo prezzo è rimasto costante.

[Fonte: Wall Street Journal]

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