Secondo Seneca non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare. E l'Italia sa dove andare? Spesso diamo l'impressione di un paese stanco e ripiegato, quasi ipotizzato dal mantra del declino. Il Pil italiano è cresciuto nel 2004 dell'1,2% (Ger +1,6%, Francia 2,5%, Uk 3,1%, poco più della metà della media europea); e nei primi mesi del 2005, col segno meno davanti al Pil per due trimestri consecutivi, il paese è entrato tecnicamente in recessione. La quota di mercato delle esportazioni a prezzi correnti, tra il 1996 e il 2004, si è ridotta di un punto percentuale, passando dal 4,8% al 3,8%, mentre Francia e Germania hanno tenuto. L'investimento in conoscenza è tra i più bassi nei paesi Ocse, l'1,1% del Pil (media UE 2%, Svezia 4,3%, Finlandia 3,5%, Germania e Danimarca 2,5%, Francia 2,2%). L'Italia non investe sul suo capitale umano. Il numero di laureati tra i giovani è bassissimo: il 12,5% (24% Grecia, 36% di Spagna e Francia, 39% USA, 51% Canada). Il numero di ricercatori è pari al 2,8 per mille degli occupati totali, contro una media europea di circa il 6 per mille. Per ogni milione di euro di Pil prodotto in Italia si consuma il 50% in più di energia rispetto alla Danimarca, il 28% in più rispetto all'Austria, il 14% in più rispetto all'Irlanda, l'11% in più rispetto alla Germania. Produciamo 72 brevetti per milione di abitanti contro i 153 che costituiscono la media europea e questo deficit di ricerca si ripercuote pesantemente sulla nostra capacità industriale, come evidenzia il quarto rapporto Enea sulla competitività: "la quota di commercio mondiale dell'Italia nei comparti ad alto contenuto tecnologico è scesa nel 2001 al 2,29% conto un già esiguo 3,55% del 1990, con una perdita del 35%. L'Italia ha una percentuale bassissima di imprese manifatturiere che lavorano fianco a fianco con gli atenei: nel biennio 1998-2000 erano solo il 2,3% (Finlandia 28%, Svezia 13%, Francia e Germania 8%). Nel 2002 è scesa dal 24esimo al 32esimo posto per cometitività tra i paesi presi in esame dall'International Institute for Management Developement di Losanna e nel 2005 è slittata al 53esimo posto.
(AGI) - Milano, 24 nov - 'Addio dolce vita', l'Italia e' in "un lungo, lento declino, malgrado le sue tante attrattive. Rovesciare la tendenza richiedera' piu' coraggio di quanto i suoi attuali leader politici sembrano possedere". E' questo il severo giudizio dell'Economist, l'autorevole settimanale inglese che pubblica questa settimana un Rapporto speciale sul nostro paese, intitolato appunto 'Addio dolce vita'. In una quindicina di pagine, opera di John Peet,' European editor', l'Economist passa in rassegna tutti i problemi dell'Italia, dalla bassa crescita economica al contesto politico, non risparmiando critiche al premier Silvio Berlusconi, ma anche alla capacita' dell'opposizione di fare le riforme in caso di vittoria alle elezioni.
1 commenti:
P.S.: la fonte delle informazioni è il libro "Soft Economy" di A. Cianciullo, Ed. Bur
Posta un commento