15 aprile 2006

La domanda delle cento pistole

(fonte: carlobertani.it)

Dopo l’abbuffata di dati elettorali, le immancabili grida ai brogli e le inevitabili gazzarre da stadio fra vincitori e sconfitti, viene il momento di riflettere – come si suol dire – “a bocce ferme”. Il centro sinistra dovrà governare, e quindi non avrà il lusso di poter osservare il bicchiere “mezzo vuoto” ma solo quello mezzo pieno, il che è comprensibile e legittimo. Anzitutto, la sconfitta – seppur di misura – è la sconfitta di Berlusconi e della sua prassi di governo che era copiata fedelmente dal piano della P2 di Licio Gelli. Berlusconi è veramente sconfitto? Qui i voti c’entrano poco: contano di più i soldi e, soprattutto, le televisioni. Dopo appena quarantotto ore dalla chiusura dei seggi, Romano Prodi annuncia che i primi interventi del suo governo saranno varare una legge sul conflitto d’interesse ed una sull’antitrust, ossia sulla concentrazione delle testate televisive: il titolo Mediaset perde immediatamente il 2% in Borsa. Due leggi contro Berlusconi? Apparentemente sì, ma fra le righe c’è la scappatoia, la via d’uscita concessa al Cavaliere. In campagna elettorale, Prodi ebbe a dire che “Mediaset è una risorsa per il Paese, il che farebbe pensare ad una sorta di “assicurazione” lanciata prima del voto, ossia l’intenzione di non vendicarsi su Berlusconi coinvolgendo il suo impero economico. Il suo potere economico, però, può anche non coincidere con quello mediatico: in altre parole, Berlusconi potrà salvare i suoi immensi patrimoni a patto che accetti la legge sul conflitto d’interesse senza alzare barricate. Come risponde Berlusconi?
Con la proposta di una grande coalizione insieme a Prodi. Tutti sappiamo che si tratta di una coalizione impossibile a realizzarsi, che renderebbe l’Italia ancor più ingovernabile di quanto può esserla un’alleanza che governa grazie al voto dei senatori a vita. Perché Berlusconi non accetta la sfida dell’opposizione “dura e pura”? Semplicemente perché coloro che sono pronti a recitare il suo De profundis politico si contano forse in egual misura da una parte e dall’altra degli schieramenti. Fra cinque anni Berlusconi avrà circa 75 anni: non è più l’età nella quale si combattono le grandi battaglie elettorali; ci vuole un Delfino, che però non c’è, perché l’unico successore di Berlusconi – vista l’impostazione “aziendale” di un partito come Forza Italia – potrebbe essere solo il suo clone. Se il centro destra può affondare sotto i colpi di una eventuale (e molto probabile) sconfitta nel referendum sulla riforma costituzionale – giacché la Lega Nord non potrà superare un simile schianto, anche perché priva del suo leader storico – la base sociale che lo sostiene continuerà ad esistere.
Una “riserva di caccia” della destra priva di Berlusconi e di Bossi è ciò che attendono il Gatto e la Volpe , ossia Casini e Fini, per rifondare un impianto politico basato sulle loro forze (molto radicate sul territorio), più un nuovo partito d’ispirazione liberale e gollista che potrà nascere dalle ceneri di Forza Italia.In definitiva, quindi, Prodi è oggi necessario anche al centro destra per il suo carisma in Europa – per cercare di sanare le astruse acrobazie di un tributarista che ha giocato a fare l’economista, un certo Giulio Tremonti – e rimettere in sesto l’economia per avere in futuro maggiori margini di manovra (e di spesa). La “grande coalizione” proposta a Prodi da Berlusconi è dunque un “pizzino” che invita a fumare il calumet della pace, ossia: lascerò campo libero e trasferirò i miei interessi economici dal campo mediatico a quello della finanza e delle assicurazioni, cosa che già in parte ha fatto. Curiosità vuole che la legge sui fondi pensione – così voluta da Maroni – non fu approvata proprio perché non era abbastanza “generosa” con i gruppi assicurativi privati, ossia con Berlusconi.
In fin dei conti, il Cavaliere da Arcore lavorava pro domo sua ed in questi anni lo ha dimostrato ampiamente: c’è da credere che cambi proprio adesso impostazione? I veri coglioni non sono dunque gli elettori del centro sinistra, ma quella parte di centro destra più vicino alla piccola e media impresa che lo ha applaudito a Vicenza, credendolo lo scudiero senza macchia e senza paura che avrebbe difeso i loro interessi. Il liberismo sfrenato della piccola e media impresa fa a pugni con qualsiasi tipo d’associazionismo: perché mai Berlusconi dovrebbe “associarsi” ad interessi perdenti quando può salvare sé stesso? La solidarietà non ha mai illuminato a giorno i salotti del capitalismo italiano. Lo scontro interno a Confindustria condurrà inevitabilmente al rafforzamento di Luca Cordero di Montezemolo – che rappresenta l’altra faccia dell’imprenditoria, ossia i grandi gruppi – perché ha dimostrato d’aver puntato sul cavallo vincente: gli incentivi per la ricerca saranno appannaggio dei grandi gruppi industriali e non certo dei piccoli, che vedranno scomparire la loro ancora di salvezza, ossia la legge Tremonti sulla de-fiscalizzazione degli utili.
Berlusconi si trova oggi in una situazione veramente difficile, dalla quale potrà uscire in un solo modo (visti anche i processi pendenti): una saggia ritirata, più tempo da trascorrere in famiglia in Sardegna o qualche incarico internazionale di facciata, tanto per poter aggiungere sempre un titolo davanti al cognome. Il bicchiere mezzo vuoto – per Romano Prodi – non sarà lo spauracchio di una sinistra alla camomilla, bensì proprio l’avanzare del progetto di “destra europea” prospettato da Fini e da Casini: le sirene di un grande partito di destra moderato non tarderanno a farsi sentire nei settori di centro, nell’UDEUR e forse anche nella Margherita. Paradossalmente, meno tempo impiegherà Prodi a risanare i conti pubblici e più sarà esposto al rischio, ma potrà sempre tornare utile per scongiurare il pericolo una legge di spesa varata “ad hoc” per accontentare Bertinotti. In definitiva, Prodi non ha torto quando afferma che seguirà il programma – ossia che colpirà la rendita finanziaria – perché quella è l’unica arma che ha per proseguire un progetto che è comunque liberista, solo che dovrà attuarlo con i voti della sinistra e con l’appoggio dei sindacati, e dunque dovrà pagare dazio.
Ciò spiega anche la strana “dimenticanza” del varo di una legge sul conflitto d’interesse fra il 1996 ed il 2001: in quel caso Berlusconi doveva essere lo spauracchio da presentare agli elettori del centro sinistra per far loro ingoiare anche i bocconi meno gradevoli. Oggi, invece, anche il “babau” non fa più paura perché cotto e stracotto soprattutto dai suoi stessi alleati, e dunque Romano Prodi potrà governare anche se avrà un solo voto di margine. Nel momento stesso che il centro destra riuscisse a rifondare sé stesso, lì inizierebbe il campo minato per il professore, ma a quel punto – con i conti pubblici in ordine – il capitalismo italiano tornerebbe a “sdoganare” una destra divenuta “europea” e senza l’ingombro di un Berlusconi di troppo. Ah, dimenticavo: che c’entriamo noi? Niente, la “carne da cannone”, la fanteria, non ha mai interrotto il sonno dei generali.


"Da quando le società esistono, un governo, per forza di cose, è sempre stato un contratto d'assicurazione concluso fra i ricchi contro i poveri.", Honoré de Balzac

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