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[Articolo integrale disponibile su 1972] [...] Le black jails ufficialmente non esistono. In realtà sono parte di un complicato sistema detentivo sotterraneo, al margine di ogni legalità, usato per imprigionare al di fuori di qualsiasi procedimento giudiziario i cosiddetti petitioners, ovvero quei cittadini cinesi che si rivolgono alle autorità per denunciare soprusi da parte dei funzionari pubblici locali. [...] Molti di loro finiscono nelle black jails, galere provvisorie e improvvisate all'interno dei locali di ostelli della gioventù situati, nel caso di Pechino, nella zona degli hutong, i vicoli stretti che si diramano attorno alla città proibita. [...] Le black jails sono oggi nient'altro che una riedizione di quella rete di carceri nascoste fra gli edifici civili, mantenute però nel segreto assoluto e la cui esistenza è ufficialmente negata. Xu Zhiyong, dopo aver ricevuto il messaggio, si dirige immediatamente al luogo in cui la donna dice di essere rinchiusa, all'ostello della gioventù di Taiping Street, vicino al parco Taoranting. Il resoconto di quello che succede in quella visita e nelle successive è affidato al suo blog e rappresenta la prima denuncia pubblica dell'esistenza di queste carceri segrete nei centri urbani cinesi. [...] Xu ritorna alla prigione il 5 ottobre dopo che una telefonata lo ha avvertito del sequestro di tre bambini, figli di una donna che aveva inoltrato una petizione per protestare contro le mancate indagini su un caso di assassinio. Sono un ragazzo e due ragazze di 13 e 14 anni. Anche loro avevano comunicato alla famiglia dove si trovavano grazie al cellulare nascosto da un altro detenuto. Questa volta Xu ci va insieme ad altri due giornalisti-blogger (Zola e Doubleaf) che a loro volta racconteranno sui loro siti l'intera vicenda. I guardiani del centro li stanno aspettando e questa volta evitano lo scontro: “I ragazzi sono stati trasferiti questa mattina”, dicono come se se lo aspettassero. E' interessante perché il professore aveva annunciato quella visita il giorno prima proprio sul blog. Qualcuno l'aveva letto. Il 14 ottobre l'ultima incursione, ancora una volta terminata con un pestaggio, documentato via audio e via Twitter da uno di loro. Il blogger Isaac Mao l'ha definito la prova di come i social media stiano trasformando la Cina. L'analisi pecca di ottimismo ma è certamente vero che la realtà delle black jails non sarebbe mai emersa senza l'azione coraggiosa di un professore-blogger e di due colleghi al seguito. Dopo i loro resoconti il SCMP (Hong Kong) ha scritto che le black jails si stanno moltiplicando in tutto il territorio nazionale in una campagna delle autorità regionali per purgare la società da elementi indesiderati quali i petitioners. Il sistema è semplice. I governi locali affittano camere in ostelli o alberghi compiacenti e strategicamente collocati al riparo da sguardi indiscreti: 150 yuan a persona, più persone in una stanza. Poi si comprano i servizi di delinquenti e picchiatori professionali per tenere lontani i curiosi: 1000 yuan per un pestaggio leggero, 3000 per una dose più intensa. Xu elenca 4 buchi neri a Pechino: oltre al Youth Hostel, il Fenglong Hostel, il Juyuan Hotel e il Jingyuan Hotel. Se dovete viaggiare in Cina tenete a mente questi nomi. L'industria del sequestro e delle sparizioni è molto fiorente nella Cina dell'efficienza autoritaria. Tutte le menzogne del soft power raccontate dalla vulgata benevolente vengono inghiottite dalle decine di storie dell'orrore che descrivono la realtà di questo paese, per molti versi ancora spaventosa.
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